di
Marcello Parilli

Un libro scava oltre la crosta di una candidatura nata tra infinite difficoltà. Per scoprire un mondo di persone, storie e iniziative che danno ancora speranza

Chi frequenta questo spazio di Corriere.it (ma anche le pagine, digitali e non, del quotidiano dedicate ad architettura contemporanea, natura, paesaggi, design e cultura) conosce bene il nome di Luca Bergamin, che da anni il sabato propone all’attenzione dei lettori borghi italiani più o meno noti. Per la nostra rubrica Bergamin, giornalista free lance e fotografo per diverse testate nazionali e internazionali, veste ogni settimana i panni di un indagatore del territorio a cui piace non solo scoprire bellezze naturali, opere d’arte e iniziative culturali e commerciali di un paesino o di un quartiere, ma anche descrivere e spesso dare voce a quella umanità che per scelta, abitudine, discendenza o affetto abita luoghi spesso sperduti, poveri di servizi o di opportunità economiche o dove il desiderio di modificare la propria realtà si scontra con limiti politici, culturali o semplicemente strutturali. Il suo ultimo libro, La più bella dei mortali – Nelle terre di Agrigento e della sua mitica costa (Ediciclo Editore, pp 256, 18 euro), è un esempio perfetto del suo modo di lavorare, così ricco di immagini, luoghi e voci che raccontano da vicino una realtà che altrimenti sfuggirebbe a chi è ormai abituato all’intensità e all’orizzontalità (per non dire, letteralmente, superficialità) dell’informazione. 

Agrigento, oltre le ombre
Va fatta una piccola premessa: Bergamin, che è mantovano ma vive in Salento e conosce bene il Sud, aveva già scritto le prime pagine del suo libro quando Agrigento, tra mille polemiche, è stata nominata Capitale italiana della cultura per l’anno 2025. Da allora, dalla confusione nei progetti alla lentezza nel realizzarli, dalla mancanza di una visione culturale sull’evento agli strafalcioni sulla cartellonistica stradale, fino a risvolti tragicomici come il rifacimento di alcune strade in occasione della visita del Presidente Mattarella, con relativa copertura dei tombini (che poi hanno dovuto essere ritrovati con il metal detector…), la città è finita nel mirino della critica non ha più dormito sonni tranquilli. Bergamin, prendendo atto di tutti i limiti del caso, ha però scelto una cifra narrativa diversa, pensando, parole sue, «che fosse allora giunto il momento di dare luce a quei tasselli di bravura, capacità umana, che anche nelle geografie più complesse, ai margini dell’Italia, lontano dalle vie di comunicazione più comode, riescono a germogliare, fare foglie e frutti». Ecco allora che da questo scrigno di templi straordinari, da questa meravigliosa città dell’antichità assediata dai «tolli», i palazzi di cemento cresciuti nel dopoguerra a colpi di sanatorie e condoni oltre ogni ragionevole misura (dai quattro piani previsti fino anche a dodici), emergono luoghi e storie che parlano di bellezza, di resistenza civile e urbana al degrado e alla mafia, di impegno personale di tanti Don Chisciotte che in tanti casi qui riportati, se magari con i mulini a vento non hanno trionfato, almeno hanno portato a casa qualche inaspettata vittoria e molti onorevoli pareggi. Ci sono i nomi e i cognomi, le parole di chi ci ha messo la faccia, i soldi, l’esperienza, la reputazione per cambiare almeno un pezzetto di quella realtà, di chi ha gettato i semi che qualche pianta hanno già fatto nascere.



















































Un lavoro da finire
Ma è tutto il libro, che poi sconfina nel territorio fino alla costa, a trasformarsi in una sorta di lente di ingrandimento su una cartina stropicciata, su questo pezzo di Sicilia raccontato da penne appuntite e raffinate di local hero come Tomasi di Lampedusa, Pirandello, Sciascia e Camilleri, gente non certo abituata all’indulgenza verso il proprio sangue ma capace di restituirne tutte le sfumature e le sensibilità. Perché c’è ancora tanta umanità in questi paesi, in questi borghi dell’entroterra o affacciati sul mare, ci sono re, signori, santi e dame di un tempo passato, e i sindaci, artigiani, albergatori, guide ecologiche, pastori, contadini, scultori, monache, pescatori di oggi, i cui racconti o la cui storia, pagina dopo pagina vanno a completare un puzzle complesso e imponente impreziosito da monumenti, castelli, teatri, templi, palazzi nobiliari, conventi, oasi e spiagge, e intessuto di tracce greche, romane, normanne, sveve, spagnole e borboniche, tra le tante (chi ama i riferimenti storici, archeologici e letterari troverà in queste pagine pane per i suoi denti). Guardata un po’ da lontano, l’immagine finale che ne deriva, in questo lungo viaggio da Licata a Racalmuto, da Girgenti a Porto Empedocle, da Burgio a Sambuca e sulla Costa del Mito, da Licata a Sciacca fino all’isola di Linosa, è ricchissima di suggestioni e probabilmente abbatterà più di un luogo comune su queste terre bellissime e tormentate, in fondo solo una parte di quell’isola «plurale» che è la Sicilia descritta da Gesualdo Bufalino. Poi, in realtà, leggere un libro segnalato nel Bello dell’Italia è solo l’inizio della storia. Per finire il «lavoro», come sempre, c’è solo un’altra cosa da fare: partire.

30 luglio 2025 ( modifica il 30 luglio 2025 | 12:02)