di
Giovanni Bianconi
L’interrogatorio dell’ex poliziotto prima dell’arresto: «Forse mi riferirono che Grasso aveva il guanto»
«Non ho un ricordo nitido», dice. Ma aggiunge deciso: «Non ho occultato nulla… Ho fatto il mio dovere». Però una spiegazione alle cose false scritte all’epoca e ribadite nel 2024 deve esserci, e il prefetto in pensione Filippo Piritore prova ad abbozzarne una: «Qualcuno mi avrà detto di procedere in quel modo, forse i miei dirigenti dell’epoca… Io non ho toccato nulla».
È probabilmente il passaggio più significativo dell’interrogatorio preventivo che non ha cambiato il destino dell’ex poliziotto della Squadra mobile di Palermo accusato di avere depistato le indagini sul delitto Mattarella, attraverso la sparizione del guanto usato dai killer e ritrovato sulla Fiat 127 rubata e usata per fuggire dopo l’omicidio, «coperta» attraverso relazioni firmate da lui nel gennaio del 1980 e confermate nelle precedenti testimonianze. Che per gli inquirenti sono bugie. La Procura di Palermo aveva chiesto di metterlo agli arresti domiciliari, e prima di decidere la giudice delle indagini preliminari Antonella Consiglio l’ha convocato per ascoltarlo, come previsto dalla recente riforma. Era venerdì 17 ottobre, e le riposte fornite dall’indagato non hanno convinto la giudice, che il 23 ha firmato la misura cautelare.
«Ero confuso»
Il nodo del presunto inganno sta negli appunti in cui Piritore attestò di avere fatto recapitare il guanto sparito all’allora pubblico ministero Pietro Grasso (che nega) attraverso un altro il poliziotto della Scientifica, Giuseppe Di Natale (che nega anche lui). Poi Piritore ha aggiunto che dall’ufficio di Grasso il guanto era tornato alla Scientifica attraverso un certo Lauricella, altro funzionario della Scientifica, che non esiste. Messo di fronte a queste evidenze, davanti al gip ha cercato di giustificarsi: «Evidentemente mi sarò spiegato male o ero in uno stato confusionale. Non è un ricordo certo, non sono certo che il nome sia “Lauricella”, non so come mi sia vento in mente. Non sono certo che il guanto sia ritornato alla Scientifica ».
Sul magistrato dell’epoca chiamato in causa, il quale forse l’ha conosciuto «per altre indagini ma certamente non in relazione al delitto Mattarella», Piritore dice: «Io ero meticoloso nelle cose che facevo… Qualcuno mi avrà detto che il dottor Grasso aveva il guanto… Credo che quando ero in sala operativa e c’erano dei fatti gravi in cui doveva intervenire il pm, con Grasso abbiamo avuto qualche conversazione. Non ricordo di avere parlato con lui dell’omicidio Mattarella».
«Seguivo le rapine»
Del resto, precisa l’ex poliziotto, «io ai tempi ero alla Sezione rapine, i mio superiore era il dottor Contrada… Il 6 gennaio 1980 (giorno in cui Mattarella fu ucciso, ndr) sono stato contattato a casa e mi sono recato sul posto dove era stata ritrovata l’auto, non sul luogo dell’omicidio». E dopo pochi giorni «torno a occuparmi di rapine». L’allora trentenne Piritore, nel maggio 1980 sventò una rapina mettendo in fuga i banditi; per questo «sono stato promosso per meriti straordinari e nell’85 fui trasferito a Roma… Io attraverso gli appunti ho fatto delle ipotesi. Non ricordavo neanche di avere partecipato all’indagine sull’omicidio Mattarella».
Del collega Di Natale, a cui scrisse di aver consegnato il guanto per recapitarlo a Grasso in maniera del tutto irrituale, afferma: «Non ricordo chi fosse. Non so come è potuta avvenire la consegna del guanto… Sarò stato informato da qualcuno o da altri che il Di Natale aveva preso il guanto, io credo di non averlo mai conosciuto. Non era mio onere refertare i beni della 127, doveva essere fatto da altri». E a proposito di Bruno Contrada (condannato per concorso in associazione mafiosa come ricordano i pm, per i quali il rapporto tra i due «valicava il rapporto professionale»), l’ex poliziotto indagato sostiene: «Non avevo rapporti personali col dottor Contrada».
«Comprendo il reato»
Nonostante neghi qualunque intento depistatorio, Piritore si rende conto della situazione complicata in cui si trova, e al gip dice: «Ho compreso il reato. Entro in uno stato di agitazione e ansia. Avrò detto delle cose interpretate male, e mi protesto innocente». Attribuisce alla preoccupazione le dichiarazioni del settembre 2024 che hanno finito per metterlo sotto accusa: «Io ero dispiaciuto che per un fatto così grave non potevo dare un contributo lucido, mi sentivo a disagio e in difficoltà, ho anche chiesto scusa ai procuratori della mia incapacità di ricordare bene i fatti». Invoca precarie condizioni di salute e la gran quantità di farmaci assunti «che influiscono sulla memoria»; l’avvocato Gabriele Vancheri fa allegare la lunga lista al verbale, poi chiede al giudice di non emettere alcun provvedimento a carico del suo assistito. Ma è avvenuto il contrario, e ieri il legale ha annunciato che si rivolgerà al Tribunale del riesame per provare a liberare il suo assistito.
Dunque la storia del guanto sparito si arricchisce e si arricchirà di nuovi capitoli, dopo essere stata riaperta con l’inchiesta sull’omicidio da parte della Procura di Palermo, nel 2017. Prima, nonostante una foto agli atti del fascicolo, la dichiarazione in Parlamento del ministro dell’Interno, e indagini e processi durati anni, nessun magistrato tra i tanti che se ne sono occupati aveva pensato di provare a recuperarlo. Perché mai avvisato formalmente della sua esistenza, e se avesse chiesto avrebbe trovato nelle carte — come accaduto ai pm di oggi — le dichiarazioni di passaggi di mano mai avvenuti. Il depistaggio contestato a Piritore.
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25 ottobre 2025
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