FRANKENSTEIN. Nelle sale, dal 7 novembre su Netflix
Il cinema ci può regalare sequenze memorabili, direttrici per volare o per scappare, sentenze, abissi e speranze. Ma la domanda più appassionante del momento arriva dal Frankenstein neoromantico di Guillermo del Toro: quanto costa, in un mondo di mostri, essere (e restare) umani? Del resto, una Creatura così non ve la dimenticherete facilmente. Non il solito mostro spaventoso, digrignante o bofonchiante, minaccioso e definitivo, simbolo del senso di colpa umano nei confronti della natura violentata. Non solo questo. Victor Frankenstein (Oscar Isaac) nel suo delirio visionario, legato ai dissidi con il padre militare Leopold (Charles Dance), dà vita a un bel tipo di poetico non – morto e a interpretare il cadavere ambulante c’è quel gran figo di Jacob Elordi, ex Elvis Presley nel moscio Priscilla di Sofia Coppola, altezza 1,96, quindi un gigante naturale senza bisogno di trucchi e sopralzi. Per la sua demoniaca impresa di vincere la morte Frankenstein si appoggia al ricco Henrich Harlander (Christoph Waltz) destinato a una fine ingloriosa.
Elordi è più un Prometeo incatenato, un alieno redentore che un infelice bamboccione dalla forza sovrumana. E in fondo non è strano che Del Toro, dopo la non riuscita versione animata di Pinocchio (2022), sia andato sul sicuro rispolverando il mito di Frankenstein per un ennesimo adattamento del capolavoro di Mary Shelley (1816). La fiaba gli s’addice: il modello è l’ingenuo / tosto Frankenstein 1931 di James Whale con Boris Karloff, se non piuttosto la versione pop muscolare di Kenneth Branagh Anni Novanta. C’è un cargo scandinavo incagliato tra i ghiacci polari del Grande Nord. Il mostro ha perso l’innocenza come le povere creature di Yorgos Lanthimos e adesso insegue il Creatore. «Victor, Victor, Victor! ». Lo vuole punire per avergli dato una vita non desiderata, con troppe sofferenze, consegnandolo a un’eternità draculesca. Puro sturm und drang: l’uomo – ricorda del Toro – nasce buono e via via si corrompe. Una frase di Lord Byron scolpita sul film dice: «Così il cuore si spezzerà, eppure spezzato vivrà».
L’azione viene posticipata a metà Ottocento, nella seconda parte il film ha una svolta melodrammatica che può piacere o irritare. Netflix produce, l’ombra de La Bella e la Bestia si riflette nel cinema per solito asprigno di Del Toro portando con sé temi e significati importanti: il tempestoso rapporto tra genitori figli, l’orrore e la pietà, l’arroganza della scienza, l’urgenza creativa, la solitudine dei numeri primi e la forma dell’acqua che prende rilievo in un panorama liquido e spugnoso. Del Toro divide il film in capitoli, cambiando – strada facendo – il passo del racconto, lo stile, il corredo sentimentale e il punto di vista. Il mostro si innamora come un adolescente della spettrale Elizabeth (Mia Goth), che dovrebbe sposare il fratello molto amato di Victor (Felix Kammerer). Per questo spezza le catene a cui è costretto da paparino impazzito e la connessione affettiva con lui. Si rifugia nella fattoria di un vecchio contadino aggredito dai lupi. Soffre, scappa, si rimette in carreggiata affrontando la fatica di vivere. Alla fine, perdona e s’incammina verso l’orizzonte polare. Più umano degli umani. Il cast è un valore a sé stante del film. Elordi, Isaac, Goth, Waltz, Dance, Kammerer sono tutti cimiteriali, disperati e bravissimi.
FRANKENSTEIN di Guillermo Del Toro
(Messico-Usa-Gran Bretagna, 2025, durata 149’, Netflix)
con Oscar Isaac, Jacob Elordi, Mia Goth, Christoph Waltz, Lars Mikkelsen, Charles Dance
Giudizio: dal 3 al 4 su 5
Nelle sale, dal 7 novembre su Netflix