Il Granata della Porta Accanto/ Quando sognare può portare veramente lontano…
Siamo fatti della stessa materia dei sogni. Se un gigante come Shakespeare mezzo millennio fa elaborava già un simile concetto in un’epoca in cui la vita era durissima e ancora maledettamente troppo breve per vedere realizzate le proprie aspettative, peraltro appena, appena, superiori alla mera sopravvivenza, a maggior ragione oggi, che abbiamo “tempo” per tutto (vivere, pensare, fare) non dovremmo mai dimenticarci di quest’immensa verità, dai più troppo sottostimata. Se c’è una cosa che ci distingue da quasi tutti gli altri esseri viventi di questo pianeta è la capacità di astrazione: tale qualità ci aiuta a risolvere problemi, a sviluppare un pensiero critico, ad apprendere, ad innovare e a favorire la creatività. Purtroppo spesso i più bassi istinti umani limitano questa nostra capacità di sognare: l’avidità, la prevaricazione, l’egoismo uccidono i sogni delle persone e ostacolano il cambiamento positivo. Il calcio è un chiaro esempio di quello che la nostra società capitalistica ha perpetrato a tutti i livelli della vita umana. Il business governa tutto e tutti e la piramide, con i ricchi in cima e tutti gli altri sotto, ha pareti sempre più inclinate. Ma l’universo è imperfetto e l’animo umano riserva per fortuna sempre piacevoli sorprese! Nella mia battaglia per un Toro più “Toro”, cioè più fedele ai suoi valori e al suo DNA diverso da quello di ogni altro club, questa settimana ho trovato tre motivi per continuare a credere che nulla è perduto e, soprattutto, che nulla è irreversibile. Il Mjällby, Simeone e Gabellini sono le ragioni che hanno innestato nuova linfa nel mio credere incessantemente che un Toro più vero sia sempre possibile.
La vittoria dello scudetto svedese da parte del Mjällby ha segnato forse la pagina più incredibile della storia del calcio mondiale: una squadra di un paesino di 1500 abitanti ha infatti vinto una lega nazionale contro ogni pronostico ed ogni logica. O almeno contro ogni logica del calcio business che vuole i club con i fatturati più alti sempre in cima alle classifiche. Sebbene il campionato svedese possa valere una bassa serie B italiana, l’impresa resta titanica ed è la prova provata che nulla è impossibile. Certo, per fare l’impossibile occorre creare con capacità, ambizione e visione le condizioni minime perché ciò accada. Ogni riferimento a campagne acquisti monche, cessioni dei migliori e demotivazione dell’ambiente è decisamente voluta e dovrebbe suonare famigliare a chi tifa Toro. “Non voglio una squadra vincente, ma una squadra che provi ad esserlo”: questo dovrebbe essere il motto di chi ha in mano le redini del Torino. Sempre. Trincerarsi dietro frasi tipo “Messi non è in vendita” o “Noi non tarpiamo le ali a nessuno” rappresenta invece l’atteggiamento opposto di chi non ci pensa minimamente a creare le condizioni affinché i sogni si avverino. W il Miällby e w gli outsider! Oltre a ciò, ci sono poi anche le parole di Simeone e Gabellini ad alimentare il mio convincimento che, se non esistesse un mondo fatto di personaggi dediti ad ingrassare il proprio conto in banca piuttosto che favorire le legittime ambizioni dei propri assistiti, probabilmente il mondo del calcio sarebbe un posto migliore. Vi chiedo: chi ha deciso che le bandiere non esistono più? I calciatori stessi unanimamente? Oppure semplicemente faceva comodo a chi fa business ripetere all’infinito questo concetto per renderlo “reale” e spingere sempre e comunque i giocatori a cambiare maglia piuttosto che a restare in un club dove si identificano e magari hanno trovato le condizioni ideali per esprimersi al meglio? Sentire il Cholito parlare di Superga, della Eterna Amistad col River in cui ha militato, vederlo lottare in campo con qualità e garra dando tutto per la nostra maglia, riconcilia con la definizione più importante che un tifoso granata possa dare ad un calciatore ovviamente meritevole di tale onore: è “uno da Toro”. Simeone in poco tempo si è guadagnato questa medaglia con il suo modo di vivere la sua avventura al Torino in linea con la passione dei suoi tifosi. Anche vederlo non esultare contro il Napoli ci ha fatto capire che oltre al calciatore anche l’uomo Simeone è riconoscente verso chi l’ha amato e verso un club ed una città che evidentemente lui stesso ha amato. Il paragone con il trattamento riservato dai tifosi granata a Quagliarella, sentito in questi giorni, è assolutamente inopportuno e non inerente: nessuno infatti ha mai contestato Quagliarella per la sua non esultanza quando segnò contro il Napoli, viste anche le sue origini partenopee. Il “peccato originale” del Quaglia, cresciuto, ricordiamolo, nel vivaio granata, è stato unicamente quello di non esultare in un derby (vinto dopo una vita) sapendo perfettamente cosa questa partita significa per tutti i tifosi del Toro e cosa dovrebbe significare per chi indossa la nostra maglia. Il rispetto è come la libertà: finisce dove comincia quella dell’altro. Il rispetto per la maglia della Juve che Quagliarella aveva indossato nella sua carriera doveva stopparsi dove cominciava quello verso la maglia del Toro che indossava in quel momento. E chi indossa la maglia del Toro sa che è investito, tra le altre cose, da una missione fondamentale per i tifosi granata: battere la Juve. Due situazioni quindi completamente diverse.
Infine Gabellini. Nella giornata in cui le giovanili granata si sono riunite a Superga per volere di Ludergnani per instillare ancora di più il senso di appartenenza di ogni ragazzo alla storia leggendaria del club di cui portano orgogliosamente i colori addosso, il capitano della Primavera ha letto davanti alla lapide commemorativa del Grande Torino i nomi degli Invincibili. Intervistato a margine dell’evento, il ragazzo, proveniente dal Cesena, ha speso parole di cuore per la sua esperienza in granata, rivelando che il suo sogno sarebbe quello, un giorno, di leggere nuovamente quei nomi, ma da capitano della Prima Squadra. Ed è proprio questo in fondo il senso ultimo del concetto di appartenenza! Sognare di approdare in prima squadra e di giocare per la squadra che ti ha fatto crescere come uomo e come giocatore dovrebbe essere la stella polare che guida ogni giovane del nostro vivaio. Ed anche in questo caso, perché i sogni si realizzino, ci vuole qualcuno che metta le basi perché la strada, se non in discesa, sia almeno il meno accidentata possibile. Dal lato settore giovanile chi seleziona i ragazzi deve fare un ottimo lavoro perché un buon numero di loro abbia davvero i numeri per fare questa carriera. Dall’altro al piano superiore occorre creare le condizioni perché questi giovani possano trovare approdo tra i “grandi”. Negli anni Settanta e Ottanta, fino a metà Novanta, è sempre stato così. Poi qualcosa si è rotto ed oggi, al di là di molta retorica, non riusciamo ancora a fare in modo che il filo tra settore giovanile e prima squadra si riannodi solidamente. Qualche caso c’è (Buongiorno su tutti), ma la cosa dovrebbe diventare una missione, quasi un’ossessione. Non ci si dovrebbe dare pace finché non si ritorni a produrre talenti dal cuore granata. Forse occorrerebbe semplicemente un presidente che sogni un Toro forte, un Toro vero, un presidente che sia fatto della stessa materia dei sogni e non della stessa materia dei bilanci.
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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