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A che punto siamo nella lotta contro l’ideologia sulla identità di genere?
Lo scorso aprile la Corte Suprema britannica ha dato uno scossone decretando che nell’Equality Act del 2010, la parola “sesso” si riferisce alle donne biologiche e non a uomini che pretendono di essere donne (ne avevamo parlato qui https://shorturl.at/31SBL e qui https://shorturl.at/t4MF9). All’International Conference di Londra di WDI (Women’s Declaration International) dello scorso weekend l’attivista femminista radicale Sheila Jeffreys, autrice di Gender Hurts, e Trigger Warning, si è dichiarata ottimista. Nonostante gli attivisti cerchino di svuotare il significato della sentenza dando interpretazioni fuorvianti i segnali di progresso ci sono. «Sono convinta che, per quanto lunga sia la battaglia, vinceremo la lotta per gli spazi, le opportunità e lo sport femminile, e stiamo già facendo progressi per fermare la transizione dei bambini. Ma è abbastanza?».
Jeffreys crede di no. «Dobbiamo andare oltre e capire da dove nasce questa esplosione di attivismo per i diritti sessuali maschili per combatterla alla radice. Non basta relegarla nell’ombra, perché continuerebbe a danneggiare le mogli e i figli di questi feticisti. Dobbiamo attaccare le fondamenta di questo fenomeno, che risiedono nell’odio sessuale maschile e nella subordinazione delle donne».
Vero, l’opinione pubblica è cambiata. Secondo i sondaggi di YouGov il pubblico è sempre più ostile agli obbiettivi del transgenderismo. A dicembre scorso, solo il 34% dei britannici era favorevole al cambio legale di genere, contro il 48% contrario, un’inversione rispetto a pochi anni fa. Il 55% ritiene che permettere alle donne transgender di usare spazi femminili sia un rischio, e il 57% è contro la chirurgia transgender nel Servizio Sanitario Nazionale. Le sentenze a favore dei diritti basati sul sesso delle donne stanno diventando comuni.
Due settimane fa, Lindsay Smith, una lesbica gender-critical, ha vinto una causa contro il Newcastle United Football Club per la sua espulsione dovuta alle sue opinioni. Anche il Pride sta perdendo supporto: a New York ha perso il 25% degli sponsor aziendali, ad Atene il 30%. I media parlano di “Trump effect”, ma l’entusiasmo per il transgenderismo si è già raffreddato.
«Tuttavia, non possiamo fermarci qui” ribadisce Jeffreys. “Questi uomini continueranno a esprimere le loro fantasie masochiste in pubblico, sul lavoro e a casa, a scapito di lavoratrici, mogli e figli. Mi preoccupa quando sento donne dire che va bene se gli uomini imitano le donne, purché non invadano i nostri spazi. Questo permetterebbe loro di continuare a fare ciò che fanno ora, ovunque, senza cambiamenti significativi. Decenni fa, questo non accadeva, quindi hanno fatto enormi progressi, e non va bene».
Women’s Declaration International
Da che cosa deriva questa accettazione da parte delle donne? In parte dalla loro deferenza: «Le donne esitano a sfidare il comportamento maschile, visto come un diritto. Ma soprattutto, c’è riluttanza ad ammettere che si tratta di una perversione sessuale e non di non-conformità di genere. Non è vero che, siccome le donne indossano pantaloni, gli uomini possono indossare vestiti. Non è la stessa cosa. Gli uomini vogliono una reazione, come nell’esibizionismo, richiedono che le donne siano pubblico involontario per i loro fetish». E questo diventa un problema sui posti di lavoro, come si è visto nel caso dell’infermiera scozzese Sandie Peggie attualmente in causa con il Servizio Sanitario Nazionale per essersi lamentata della presenza del dottor Beth (Theodore) Upton negli spogliatoi.
«La letteratura scientifica lo conferma: il transgenderismo è una perversione maschile, alimentata dalla pornografia. Il rapporto Pornhub 2022 mostra un aumento del 75% nelle ricerche della categoria transgender, che è diventata la più vista in Brasile. Questo comportamento è legato alla pornografia che normalizza altre perversioni, come il feticismo dei pannolini, i furries o l’apotemnofilia, disturbo dismorfico del corpo, come nel caso del chirurgo Neil Hopper, che si è amputato le gambe».
La Drag Race di RuPaul
Jeffreys ha continuato con altri esempi: il woman’s face, come forma di intrattenimento e commedia, è un insulto esplicito alle donne come il black face è insultante per i neri. Lo show Drag Race di RuPaul si basa sull’ideologia di genere che vede le donne come inferiori e promuove l’odio verso le donne, usando termini come “CUNT” nei criteri di giudizio (Carisma, Uniqueness, Nerve, Talent) e “fish” per l’odore dei genitali femminili. «Per sconfiggere tutto ciò, dobbiamo eliminare la femminilità, che significa subordinazione, sia per le donne che per gli uomini. Senza femminilità questi comportamenti maschili non hanno senso. Gli uomini trovano eccitante la femminilità perché rappresenta sottomissione, ma molte donne non lo capiscono. Dobbiamo lavorarci». Ha poi concluso con ottimismo: «il nostro linguaggio femminista, come “diritti basati sul sesso”, sta entrando nel vocabolario di politici e giornalisti. Voglio che lo stesso accada con “woman’s face” e con la comprensione che il transgenderismo è una perversione sessuale. Sono sicura che ci riusciremo».
Sheila Jeffreys sta per pubblicare Uprooting Male Domination. Dispatches from the Sex Wars (Spinifex)
Martha Wolf
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