di
Giovanni Bianconi
In aula vari duelli fra maggioranza e opposizione sulla riforma della giustizia
«Il suo sogno oggi si trasforma in realtà e il nostro presidente, dall’alto dei cieli, credo sorrida e guardi soddisfatto il lavoro dei suoi allievi», scandisce con ostentata emozione il senatore Pierantonio Zanettin, parlando dal banco che fu di Silvio Berlusconi. «La giustizia giusta gli è stata sempre a cuore». Zanettin offre una particolare lettura dei trascorsi giudiziari di Berlusconi e accusa: «Egli è stato e continua a essere anche oggi vittima di una giustizia ingiusta, viziata dal pregiudizio ideologico e politico». Nella logica di Forza Italia questa riforma dovrebbe mettere fine al presunto «uso politico della giustizia», sebbene non incida in nessun modo sui tempi e i modi di conduzione di inchieste e processi. Ma il senatore azzurro celebra ugualmente con queste premesse «lo storico voto di oggi».
A nome del Pd ha chiesto e ottenuto di intervenire Dario Franceschini, uno dei leader in campo dai tempi della fondazione, ex democristiano che parla dai banchi che furono dell’estrema sinistra e sfida la destra sul referendum confermativo previsto per il prossimo anno: «Ricordate il Papeete del 2019 e Salvini che chiedeva di votare per avere i pieni poteri? Giorgia Meloni è più furba e non lo dice, ma il desiderio di pieni poteri assomiglia molto a quello di allora. Per fortuna gli italiani hanno anticorpi forti». Lo dimostrano i precedenti di riforme fatte a colpi di maggioranza bocciate dagli elettori nel 2006 e ne 2016. «Anche nel 2026 non pochi avranno voglia di uscire di casa per votare contro il governo e fermare le vostre tentazioni autoritarie», prevede Franceschini che ricorre a citazioni cinematografiche assimilando le mosse della maggioranza ai pasticci combinati dall’ispettore Closeau: «È un perfido destino: dal Signore degli anelli alla Pantera rosa».
Politica di ieri e di oggi
Si parla della politica di ieri e di oggi, nell’aula di Palazzo Madama che si appresta a votare la riforma costituzionale della magistratura arrivata al giro di boa della prima lettura nei due rami del Parlamento, senza che deputati e senatori abbiano cambiato una parola del testo uscito un anno fa dal Palazzo Chigi. E così sarà nei prossimi due round di Camera e Senato, fino al referendum che entrambe gli schieramenti si dicono certi di vincere. Come i capitani di ogni squadra prima di ogni partita.
A Franceschini replica a stretto giro Alberto Balboni di Fratelli d’Italia, che cita un altro «grande vecchio» del Pd, Goffredo Bettini; il quale in un recente intervento su Il Foglio s’è detto favorevole alla separazione delle carriere tra giudici e pm. Ce n’erano anche altri in quel partito che ormai, denuncia il senatore meloniano, è vittima della «deriva massimalista dell’attuale segretaria, subalterna all’ultragiustizialismo a cinque Stelle. Per ritrovare i riformisti in quello che fu un grande partito a vocazione maggioritaria della sinistra occorre una puntata di Chi l’ha visto?». I decibel della polemica e della protesta dai banchi della sinistra s’impennano, e per riportare un po’ d’ordine interviene la vice-presidente Anna Rossomando, del Pd (il presidente La Russa ha aperto la seduta, è rimasto il tempo di battibeccare con Matteo Renzi che protestava per il brusio durante il suo intervento e se n’è andato).
Polemica su Falcone
La stessa Rossomando, in precedenza, aveva interrotto l’ex magistrato pentastellato Roberto Scarpinato, che lavorò al fianco di Giovanni Falcone nel palazzo di giustizia di Palermo, mentre replicava a quegli esponenti della maggioranza (praticamente tutti, più Calenda) che hanno citato alcuni interventi di 34 anni fa del giudice assassinato a Capaci favorevoli alla separazione delle carriere: «Non potendo esibire pubblicamente e decentemente come spiriti guida di questa riforma Gelli, Berlusconi, Dell’Utri, Previti e personaggi simili, vi fate scudo dell’icona di Falcone, che proprio dai mondi di cui questi personaggi sono l’emblema — il lobbismo, la borghesia mafiosa e i poteri economici conniventi con le mafie — fu osteggiato, ridotto all’impotenza e lasciato nelle mani dei macellai che lo massacrarono il 23 maggio 1992». Applausi dei Cinque stelle, proteste della destra e chiosa di Rossomando: «Senatore, ricordo a lei come a tutti che rispetto al tenore di alcune affermazioni se ne assume la responsabilità».
Dibattito e chiacchiere
Per il resto il dibattito fila via liscio, disturbato da un chiacchiericcio di sottofondo che quasi impedisce di sentire, come accade a scuola quando c’è la supplente e gli alunni non la stanno a sentire. E davvero sembra che ascoltare, qui, interessi poco; ognuno parla per sé e per i propri sostenitori, mentre gli altri si occupano d’altro.
In apertura, quando Calenda illustra il voto favorevole di Azione, nell’aula ancora semivuota, l’unico attento a ciò che dice sembra il ministro Nordio, seduto ai banchi del governo al fianco del collega Ciriani e al viceministro Sisto, intento nella lettura di alcune carte. In un paio di occasioni il Guardasigilli pare imitare Giorgia Meloni, lasciandosi andare a plateali cenni di dissenso scuotendo la testa e mettendosela tra le mani, come quando il senatore di Avs Giuseppe De Cristofaro accusa il governo di «vendetta politica contro i magistrati».
Dopo meno di due ore si vota, sullo schermo le luci verdi sovrastano quelle rosse e Rossomando comunica: «Il Senato approva in prima deliberazione». La destra applaude, Nordio si prende gli abbracci dei colleghi (aumentati di numero), a sinistra spuntano copie della Costituzione rovesciata accompagnate dal grido ritmato «Vergogna!». La seduta è sospesa, la «giornata storica» è andata. Appuntamento alla Camera per il secondo giro. Anzi, alle urne.
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22 luglio 2025
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