BUJA – «Adesso vi dirò una cosa che secondo me non vi aspettate – dice De Marchi quando gli viene chiesto quale sia il momento più indimenticabile della sua carriera – perché andremmo tutti alle immagini che abbiamo visto poco fa. In realtà uno dei momenti che ho più nella memoria è il mio compleanno. Io compio gli anni il 19 maggio e maggio significa Giro d’Italia. Per il compleanno del 2018, i miei tifosi della Red Passion (si sono definiti così), mi aspettavano sullo Zoncolan. E durante la tappa del Giro d’Italia, io li ho raggiunti, mi sono fermato, mi sono fatto cantare tanti auguri da tutti loro, ho bevuto un bicchiere di birra e poi sono andato all’arrivo. Quello è uno dei momenti che rimarrà indelebile nella mia memoria».
E’ la festa di addio di Alessandro De Marchi e non poteva che svolgersi nella Buja che gli ha dato i natali e il soprannome. Il Rosso non ha mai pensato di andarsene all’estero, anche se avrebbe potuto. Ha costruito la sua casa non lontano dal paese, perché fra lui e le sue montagne c’è un legame che solo qui, vedendolo fra la sua gente, si riesce a capire a fondo. E’ cominciato tutto nel primo pomeriggio con la gimkana per i bambini, voluta per ricreare la magia che tanti anni fa lo rese corridore.
Poi il gruppone si è spostato in questo spazio delle feste sul Mone di Buja, nello scorrere delle immagini e dei ricordi. Quando smette uno che ha solcato il professionismo per 15 stagioni, il lascito delle emozioni e delle lezioni è per forza enorme. Il senso che non andrà tutto sprecato trova conferma nell’annuncio che il prossimo anno De Marchi salirà sull’ammiraglia della Jayco-AlUla e il suo lavoro accanto ai giovani proseguirà, sia pure con un registro diverso.




L’aria frizzante dell’autunno
L’aria fuori inizia a farsi freschina, l’autunno ha portato colori e temperature adeguate. I bimbi continuano a giocare con le bici, ma uno dopo l’altro vengono fatti rientrare dai genitori, perché lunedì c’è da andare a scuola e non è davvero il caso di prendersi un malanno. Alessandro si trattiene fuori, osserva e intanto racconta. La sensazione che ancora non si renda conto è forte e la riconosce lui per primo.
«E’ arrivato il momento di dire basta – sussurra – è arrivato con il sorriso e la serenità giusta. Non è stato un fulmine a ciel sereno, l’ho comunicato prima e per me è stato importante. Forse non è stata una scelta che tutti hanno compreso, però io avevo il bisogno di essere chiaro prima con me stesso e poi con chi mi seguiva. Quindi è stato giusto dirlo, per non tornare indietro. E’ stato un lento processo che è arrivato al momento culmine nell’inverno scorso. Poi piano piano l’ho condiviso con i più vicini, poi con la squadra e con il resto del mondo delle due ruote».










Le montagne del Friuli
Sua moglie Anna sembra una trottola, presa tra i figli Andrea e Giovanni, le cose da fare per la festa e i tanti saluti. Per fortuna ci sono i nonni e gli amici che la sollevano da una parte delle incombenze. Ma del resto basta guardarsi intorno per capire che i bambini sono sicuri, guardati da tutti, come in una grande famiglia di paese.
«L’idea di fare qualcosa per i bambini – prosegue Alessandro – è venuta un po’ più tardi durante l’estate, quando si pensava a come festeggiare. E alla fine ricordando come ho iniziato io, ci siamo chiesti perché non ricreare una situazione simile e chiudere in qualche modo il cerchio. Non so se i miei figli diventeranno corridori, ma sono contento che amino la bicicletta. L’importante è che trovino il modo per esprimersi, qualunque esso sia, anche suonando uno strumento. Anche io ero un bambino, il percorso è stato lungo e a un certo punto mi ha spinto a partire.
«Sapete che da queste montagne mi sono sempre staccato, ma in un certo senso mai completamente. Adesso le guardo con un occhio diverso e continueranno a essere il luogo di cui non riesco e non voglio fare a meno. Voglio continuare a starci, anche se la mia vita continuerà nel mondo del ciclismo, sia pure dall’altra parte della barricata. Il primo effetto dell’aver smesso? Poter bere qualche birra di più ed essere meno severo con me stesso…».


L’onore delle ruote
Il momento del saluto alla Veneto Classic lo ha commosso. L’onore delle ruote. Le bici tutte in piedi e lui, come altri prima, a passarci in mezzo lungo il corridoio che di lì a poche ore lo avrebbe portato fuori dal gruppo.
«E’ stato bello – dice – perché ormai è diventata una sorta di tradizione ed era una cosa cui guardavo con voglia. Esci dal tuo mondo di corridore e intanto speri di aver lasciato qualcosa. Il desiderio di seguire i propri istinti, continuare a fare le cose che ti piacciono. Ovviamente in questo lavoro si è portati sempre a rispondere a delle esigenze diverse, della squadra, del mondo che hai intorno. Invece forse, per continuare a gioire ed essere contenti di questo tipo di lavoro, devi riuscire a rimanere fedele allo slancio grazie al quale hai scelto la bicicletta. Non sarà facile, sappiamo bene come va il ciclismo, ma mi piacerebbe essere riuscito a far capire questo messaggio a quelli che mi sono stati più vicini».




Le interviste impegnate
E qui il discorso si fa più intimo, in una sorta di confessione che ci viene di fargli soprattutto osservando gli ultimi eventi mondiali e spesso il silenzio del gruppo e delle sue voci più autorevoli. Mentre la Vuelta veniva strattonata e fermata dalle proteste pro Palestina, quasi nessuno di quelli che c’erano dentro ha detto una sola parola sull’argomento, quasi fossero abitanti di mondi diversi. Invece dopo il Tour, De Marchi aveva ammesso in un’intervista con The Observer che avrebbe avuto difficoltà oggi a correre con la maglia della Israel Premier Tech indossata per due stagioni. E’ inevitabile così ora chiedergli se tanto esporsi e la nostra richiesta di farlo gli sia pesato e se tante interviste “impegnate” gli abbiano impedito di ricercare la leggerezza in quello che faceva.
«Forse a volte – ammette – avrei potuto essere più leggero, una cosa di cui abbiamo parlato spesso tra noi, soprattutto con mia moglie Anna e con i più vicini. Però alla fine uno trova il modo di esprimersi con un certo stile e in realtà chi mi conosce bene, sa che anche io ho i momenti in cui ricerco la leggerezza».


Il senso della comunità
Non ci aspettavamo una risposta diversa e forse è questo il motivo per cui il Rosso di Buja è diventato una sorta di bandiera per la gente che si riconosce nel suo essere trasparente, a costo di sembrare spigoloso. E oggi che sono tutti qui per lui, il senso di appartenenza si percepisce davvero molto saldo.
«Speravo e sapevo che Buja avrebbe risposto così – dice – è la natura di questa zona e di questa gente. Quando viene chiamata è pronta a farsi comunità, a essere disponibile, ad aiutare, a partecipare. Per questo abbiamo unito alla festa la voglia di stare vicino al gruppo di Diamo un Taglio alla Sete, un gruppo di volontari che mi segue da un sacco di anni e che io seguo facendo delle cose insieme. Lavorano tantissimo, ci si può fidare. Sono stati i primi che ho contattato e i primi a rispondere in modo positivo. Sappiamo che quello che raccoglieremo questa sera va in una buona direzione, per scavare pozzi dove l’acqua manca e questo rende tutto più bello, no?».
Lo richiamano da dentro. Il ricavato del contributo di ingresso e della vendita del vino avranno una nobile destinazione. Perciò è tempo di riempire i calici che gentilmente ci hanno appeso attorno al collo, come si usa in Friuli, e iniziare la seconda parte della festa. Quando alla fine della serata il taglio della torta sancirà la fine della carriera di Alessandro De Marchi anche noi avremo la sensazione per una sera di aver fatto parte di una grandissima famiglia.