di
Marco Imarisio

Lo zar annuncia il Burevestnik. I dubbi dell’intelligence Usa sulla volontà di pace

DAL NOSTRO INVIATO 
MOSCA È una tranquilla domenica mattina di pioggia, quando all’improvviso riappare in diretta televisiva il mito russo dell’arma meravigliosa. «Invincibile, ha caratteristiche uniche, non esistono suoi analoghi» dice Vladimir Putin con indosso una giacca mimetica, a proposito del missile Burevestnik, l’uccello delle tempeste che dà il titolo a una celebre poesia rivoluzionaria di Maksim Gorkij, dove il succitato pennuto diventa il simbolo della forza che annuncia l’avvento di una nuova forza in grado di cambiare e sconvolgere il mondo.

Luogo segreto

Il presidente parla dal Centro ausiliario di comando delle truppe, località sconosciuta per ragioni di sicurezza. Il contesto e l’occasione sono ideali per il suo orgoglio militaresco. Putin ascolta i prodigi del nuovo ordigno declinati dal capo di stato maggiore, il generale Valerij Gerasimov, che lo ragguaglia anche sui progressi al fronte del suo esercito. Dopo aver dato disposizioni affinché vengano preparate le infrastrutture necessarie al posizionamento del Burevestnik nelle Forze Armate, Putin ricorda che «la Russia ha sempre trattato il nemico con misericordia» e si raccomanda di adottare le misure necessarie per garantire buone condizioni alla resa dei soldati ucraini. «Sapete, quelli che desiderano consegnarsi a noi vengono spesso “trattati” con i droni dal loro stesso esercito» aggiunge.



















































Il nuovo missile tiene banco, con i suoi numeri da record, elencati con voce piatta da Gerasimov. È una fascinazione che viene da lontano, dalla Seconda Guerra Mondiale, quando il lanciarazzi Katjusha, la cui produzione in serie iniziò il 21 giugno 1941, poche ore prima che le truppe di Hitler attraversassero il confine sovietico, divenne una leggenda in grado di esorcizzare il timore della sconfitta presso il popolo. Da allora, a ogni momento di crisi internazionale è corrisposta l’esibizione di un’arma-feticcio, come la Bomba-Zar ai tempi della Guerra fredda, e via discendendo fino ai più contemporanei missili Sarmat, all’Oreshnik dell’agosto 2024, che avrebbe dovuto andare in produzione al ritmo di venticinque pezzi al mese, dei quali per ora non si ha notizia. 

Risvolto politico

Ma è il messaggio che conta, almeno per il momento. L’uccello delle tempeste permette a Putin di affermare che «le forze nucleari della Russia sono le migliori del mondo», una dichiarazione che in questi tempi di ragionamento sulla reazione russa all’eventuale invio di missili Tomahawk all’Ucraina assume un chiaro significato politico. «La Russia non legherà la risoluzione delle missioni di combattimento durante l’Operazione militare speciale a nessuna data, ci baseremo soltanto sulla nostra necessità militare». È la versione in mimetica dell’ormai classico «andremo avanti fino a quando non avremo raggiunto tutti i nostri obiettivi», ma è un concetto che viene ribadito mentre Kirill Dmitriev, il rappresentante speciale del Cremlino in visita negli Stati Uniti dichiara che grazie agli sforzi diplomatici congiunti Usa-Russia, «la pace è a un passo». 

Doppio binario

Come se la politica russa verso gli Usa procedesse su un doppio binario. Vladimir Putin tira dritto, ripete con minime variazioni quello che sostiene da quattro anni, lasciando pochi margini per un vero negoziato di pace. Persino l’intelligence del Dipartimento di Stato americano sta avendo dubbi sulla sua volontà di negoziare la fine della guerra, in contraddizione rispetto alla valutazione più ottimista della Cia. Ma intanto il presidente russo spedisce in terra americana uno dei suoi uomini più importanti.

Dmitriev è il suo incaricato d’affari, in senso letterale, quello del business. «Assistiamo a titanici tentativi di sabotare il dialogo tra Russia e Usa, ma falliranno» ha detto ieri. I segnali di un’intesa che tutto sommato entrambe le parti stanno ancora cercando, nonostante l’intransigenza di Putin e le sanzioni di Trump, arrivano anche da Sergey Lavrov. Forse con una certa ironia, il ministro degli Esteri russo ha affermato che i suoi recenti colloqui con l’omologo Marco Rubio sono andati «così bene che alla fine gli Usa hanno deciso che non c’era bisogno di un incontro tra i due presidenti».

Non sono soltanto le armi a diventare un simbolo. Gira tutto intorno al nuovo vertice tra Trump e Putin, l’evento catartico. «Ci vedremo solo se c’è l’accordo di pace» dice il presidente americano, che spera nell’aiuto del leader cinese Xi. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov gli risponde affermando che Putin apprezza «il sincero desiderio» trumpiano di porre fine alla guerra. «Ma non sarà possibile farlo in una sola notte» aggiunge, ribadendo che «al momento non ci sono motivi per pensare a progressi nel processo di pace in tempi brevi». Sembra il gioco dell’oca, ogni volta si ritorna alla casella precedente. Oppure, il giorno della marmotta, sempre uguale a sé stesso. Intanto la guerra continua. Come vuole Putin.

26 ottobre 2025