TORINO – La maglia rossocrociata oramai Mauro Schmid ce l’ha tatuata sulla pelle. Non fosse bastato il titolo in linea del 2024, il venticinquenne di Bulach ha compiuto un’impresa che, dal 1993 a oggi, era riuscita soltanto a Stefan Kung nel 2020, ovvero imporsi nello stesso anno in entrambe le prove: strada e crono. Persino una leggenda come Fabian Cancellara aveva mancato l’accoppiata, pur imponendosi più volte in anni diversi nelle due fatiche (10 sigilli contro il tempo, 2 in linea).
La seconda stagione in casa Jayco-AlUla è stata positiva per Mauro, anche se c’è tanta voglia di lasciare il segno anche fuori dai confini nazionali per ricambiare la fiducia che il general manager Brent Copeland e tutto lo staff ripongono in lui. Nel frattempo, sul finale di stagione, è salito per la terza volta sul podio iridato della staffetta mista, mettendosi al collo un bronzo in Rwanda dopo gli ori centrati nel 2022 e nel 2023.


Che cosa ha voluto raddoppiare il titolo nazionale su strada e fare doppietta con quello a cronometro quest’anno?
Beh, devo dire che è bello essere facilmente riconoscibile alle corse. Già vincere la maglia una volta è speciale, ma ripetersi l’anno successivo è qualcosa di fantastico e non vedo l’ora di indossarla ancora, almeno per la prima parte del 2026. La cronometro è stata una mezza sorpresa anche per me, ma ero ben preparato e sono arrivato a quel giorno nelle migliori condizioni. Tra l’altro, essere campione nazionale nelle prove contro il tempo, ha un certo prestigio nel nostro Paese: basti pensare a quello che hanno fatto Küng e Cancellara negli ultimi 25 anni. Lo standard è sempre alto ed è bello avere questo onore.
A questo proposito, come alfiere della Svizzera, che cosa ci dici del vostro movimento sia a livello individuale, sia coi risultati di Tudor e Q36.5?
Abbiamo sempre avuto ottimi talenti, anche negli anni più recenti, anche se ne è parlato bene. E’ ovvio che dopo uno come Cancellara, non sia facile prendere il testimone. Per qualche anno il livello, soprattutto su strada, non è stato eccelso e le vittorie di corridori svizzeri nelle prove in linea sono state meno delle attese.
Comunque, vi siete goduti Nino Schurter…
Tanti ragazzi della mia generazione, infatti, hanno virato più sulla mountain bike e la strada ha perso un po’ di popolarità. Ora stanno emergendo però giovani interessanti e, il fatto di avere due squadre svizzere così strutturate tra i pro’ gli dà la possibilità di maturare senza fretta e con più tranquillità. In particolare, per quei ragazzi che vanno ancora a scuola e riescono ad avere una vita più normale.


Che atmosfera hai respirato ai Mondiali in Rwanda?
Qualcosa già si sta muovendo. C’è ancora bisogno di un po’ di tempo, anche se la generazione attuale è già abbastanza buona, ma tra qualche annetto vedremo i risultati. Sono convinto che, anche grazie ai progetti a lungo termine dei due team svizzeri, tutto il nostro movimento ne beneficerà.
Hai cominciato a pensare alla prossima stagione?
L’idea, al momento, è di cominciare con il Tour Down Under: una corsa molto importante per la nostra squadra che è australiana, ma lo è anche per me. Oramai è un po’ come il primo giorno di scuola e vuoi subito partire forte. Poi, spero di dire la mia nelle classiche, grazie anche all’esperienza acquisita quest’anno. Il calendario potrebbe essere simile a quello del 2024, a parte qualche piccolo cambiamento a febbraio e marzo. Per i Grandi Giri mi vedo più al Tour, anche se mi piacerebbe venire al Giro. L’unica cosa è che è difficile far bene le Ardenne e poi essere pronto per tre settimane intense a maggio.


C’è una corsa che ti stuzzica più di altre?
Difficile da dire, ma pensandoci direi che mi piacerebbe vincere una tappa al Tour de France.
Beh, quest’anno ci siete riusciti con Ben O’Connor. Com’è stato?
Molto bello. In realtà, il mio aiuto è stato marginale, a parte qualche chilometro all’inizio, perché poi ha fatto tutto da solo. E’ stato di grande motivazione, così come lo è pensare a quando ho sfiorato la vittoria di tappa al Tour de Suisse (ripreso a 1,6 km dal traguardo della sesta tappa dopo la fuga col connazionale Kung e l’australiano Sweeny, ndr). Sicuramente ci riproverò, ma prima mi concedo qualche giorno sulle spiagge di Bali per ricaricare le batterie.