Rita Cavallaro

26 ottobre 2025

L’ex pm Mario Venditti non si arrende a subire lo stesso calvario giudiziario e mediatico di quei cittadini che finiscono nelle maglie della giustizia. E attraverso il suo avvocato, Domenico Aiello, le sta tentando tutte pur di intralciare l’inchiesta della Procura di Brescia, che accusa Venditti di essersi fatto corrompere per archiviare Andrea Sempio nel 2017 per il delitto di Garlasco, e addirittura fermare l’indagine pavese del procuratore Fabio Napoleone, che sta chiudendo il cerchio attorno a Sempio per l’omicidio in concorso di Chiara Poggi, l’assassinio del 13 agosto 2007 per il quale è stato condannato l’allora fidanzato Alberto Stasi, oggi sempre più a un passo dall’essere scagionato grazie ai nuovi accertamenti tecnici. L’avvocato Aiello, che due giorni fa aveva nuovamente scritto una lettera al Guardasigilli Carlo Nordio implorandolo di “sottrarre la critica di un giudicato al “furor di popolo””, ieri si scaglia direttamente contro la stampa, per aver pubblicato ampi stralci del decreto con il quale i pm bresciani hanno nuovamente sequestrato gli smartphone di Venditti e di due carabinieri della “sua” squadretta.

 

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“Il maggiore quotidiano nazionale continua a diffondere notizie false da tre giorni, e pur richiesto non spiega perché per ben due giorni consecutivi dichiari avvenuta una notifica alla difesa del dottor Venditti che non è ancora avvenuta. Diffonde anche testi del provvedimento, allo stato ignoti a questa difesa, fatto illecito che non sarà mai indagato. Paradossale, proprio in questa vicenda. Tutti i media hanno ripreso una notizia falsa, anche i TG, diffusa ad arte con consapevole certezza di pubblicare una menzogna”, scrive il legale di Venditti. “Si cerca di far passare sotto silenzio”, prosegue Aiello nella nota, “una delle più gravi irregolarità degli ultimi anni, sintomatico della volontà di raccontare una storia diversa dalla verità, un copione utile a qualcuno. Una trama a servizio di interessi non dichiarati, ma ben evidenti, che da 8 anni confliggono con un giudicato della Repubblica italiana e si fondano su un falso ideologico evidente, ovvero che in presenza di una sentenza della Cassazione che parla di un solo autore dell’omicidio, si possa o si debba indagare altri autori in concorso con l’assassino, prima ancora di ottenere la revisione della sentenza (revisione peraltro più volte tentata e non ottenuta). Ogni magistrato o Pubblico ufficiale ha un preciso obbligo verso il Giudicato”, sottolinea il penalista. Che con le sue parole torna velatamente a insinuare come i magistrati di Pavia stiano indagando non per l’interesse della giustizia, ma per interessi privati, in un’inchiesta veicolata dalla difesa di Stasi.

 

Accuse gravi, che sia l’avvocato che l’ex pm, dimessosi da presidente del Casinò di Campione d’Italia dopo le due iscrizioni per corruzione in atti giudiziari su Garlasco e per corruzione e peculato nella gestione dei fondi della Procura di Pavia, lanciano ormai da mesi contro il procuratore Napoleone e ora pure contro il capo di Brescia Francesco Greco. “Tutto appare surreale, kafkiano, istituti processuali secolari che presidiano libertà, garanzie e certezza del diritto, sospesi per alimentare una narrazione morbosa e di parte, una voglia insaziabile di prime pagine in assenza di indizi e di rispetto per le forme del processo”, prosegue Aiello. “Vale la pena chiedersi se questa indagine sia stata per decreto sottratta definitivamente alle aule, ai codici e debba esser quindi condotta soltanto sui media e nei talk show. Sistema che non serve soltanto la verità ma l’audience, da alimentare quotidianamente anche con piccole imprecisioni o mancate verità”, sottolinea. “Oramai ogni assassino con un giudicato sulle spalle sarà legittimato a reclutare cronisti sbadati, banditori e comparsisti. Ogni condannato potrà cercare la corruzione dell’accusatore o peggio ancora del proprio Giudice”, conclude, dileggiando i giornalisti, Aiello. Il quale, forse, dovrebbe ripassare l’articolo 21 della Costituzione, la libertà di pensiero e di stampa. E, anziché inviare lettere e suppliche, rivolgersi all’autorità giudiziaria, con querele circostanziate, qualora questa libertà costituzionalmente garantita leda i diritti del suo assistito.