Nella sua ridotta, e obbligata per disciplina finanziaria, dimensione la legge di Bilancio contiene un segnale politico che teoricamente smentisce la natura della maggioranza di centrodestra. Riguarda il peso specifico dei piccoli, le imprese, gli azionisti e, alla fine, anche i risparmiatori. Il segnale più eclatante è il mancato finanziamento della legge sulla partecipazione dei lavoratori al capitale delle imprese in cui lavorano. Una legge voluta dal centrodestra, ingiustamente avversata dalla sinistra, pensata per sorreggere i redditi dei dipendenti e trattenere i talenti in azienda, soprattutto nelle piccole e medie. Elevata e giustificata la delusione della Cisl che non è così contraria al governo Meloni (il collateralismo non fa mai bene al sindacato).
L’Italia è poi il Paese, o meglio la Nazione, delle microimprese. Il miglior modo di aiutarle è quello di farle crescere. Al di là degli aspetti relativi alla fedeltà fiscale (ma che cosa si aspetta a pubblicare il rapporto Rossi sull’evasione?) non c’è una norma, sul modello dell’Ace (Aiuto alla crescita economica), che favorisca il raggruppamento e la fusione delle piccole aziende, l’unica via per assicurare loro un futuro. Come nota Simone Strocchi, fondatore di Electa Venture: «Anche il bonus per le Ipo, ovvero la quotazione in Borsa, con un’offerta molto frammentata, finisce per favorire gli intermediari che coprono metà dei loro costi a carico dei contribuenti, senza particolari vantaggi per le aziende quotate, soprattutto le più piccole. Non è prevista alcuna agevolazione per le quotazioni indirette, ovvero per le acquisizioni che avvengono dopo la quotazione». Strocchi è preoccupato poi per gli effetti della norma che alza, dall’1,2 al 24 per cento, la tassazione sui dividendi per partecipazioni inferiori al 10 per cento, con la conseguenza di scoraggiare gli investimenti in Italia, anche da parte dei tanti family office italiani che potrebbero aiutare le piccole imprese a uscire dal loro nanismo e ottenere i capitali per crescere. «Una soluzione
ragionevole – aggiunge – potrebbe essere quella di abbassare l’esenzione dal 95 al 90 per cento per i dividendi percepiti da soggetti Ires a prescindere dalla percentuale di partecipazione». Andrea Tavecchio sul Foglio ha spiegato, nei minimi particolari, come la norma inserita nella bozza di bilancio, possa costituire un gigantesco autogol della maggioranza e allontanare dalle aziende italiane, gli investimenti nazionali, oltre a quelli esteri. «Oggi, anche per via dei crediti d’imposta – spiega Tavecchio – la tassazione sui dividendi di fonte italiana è più bassa del 15 per cento rispetto all’estero». Con la norma inserita, per ora, nella legge di bilancio, non sarà più così. Un incentivo a investire all’estero e a trascurare le aziende italiane. Per un governo sovranista una bella contraddizione.
27 ottobre 2025
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