Milano – Dei tre solo l’eccentrico Dalì poteva vantare un titolo aristocratico, marchese di Púbol, concessogli in vita nel 1982, da re Juan Carlos. A buon diritto, quindi, Grande di Spagna. Non gli altri due che una mostra, al via il 1º novembre alla Fabbrica del Vapore, a lui accomuna quali Excelentísimos Señores: “Tre Grandi di Spagna: tre visioni, un’eredità. L’arte di Dalí, Miró e Picasso” (fino al 25 gennaio 2026), curata (con Vittoria Mainoldi e Carlota Muiños) dall’estroverso e cordiale catalano Joan Abelló, che ci spiega: “Mirò della dignità nobiliare proprio se ne fregava, e Picasso oltretutto era comunista”.
Tre personalità sbocciate nel fermento culturale della Catalogna (terra d’origine di Mirò e Dalì, d’iniziazione artistica per il malagueño Picasso), e la cui “Grandeza” è perciò da intendersi come massimi protagonisti della modernità del Novecento. Dialoganti in modi difformi, ma profondi, con il Surrealismo. Tutti e tre ansiosi di liberare l’immaginazione, rovesciare le convenzioni sociali, penetrare il mistero dell’esistenza umana superando i limiti della realtà visibile.
La mostra è stata concepita appositamente per lo spazio milanese. Ricca di oltre 250 opere, in massima parte litografie, acqueforti, acquetinte, puntesecche, linoleografie, ovvero serie grafiche, con disegni. Che hanno necessità di tempi di lettura più lenta ed analitica (rispetto per esempio a un dipinto esposto a Palazzo Reale), da parte dello spettatore. Il quale deve comunque essere incoraggiato – raccomanda Maria Fratelli, nel Comune arruolata come dirigente Unità Progetti Speciali e Fabbrica del Vapore – a venire nell’hub di via Procaccini per emozionarsi anche davanti a una tecnica che richiede introspezione: “Il disegno è la sincerità dell’arte. Non ci sono possibilità d’imbrogliare. O è bello o è brutto”, diceva proprio Dalì.
Già, il disegno contiene intenzioni, idee. Ed è insopprimibile l’emozione che ti assale davanti ai numerosi bozzetti preparatori all’orrore della guerra, da Picasso espresso nel gigantesco murale ‘Guernica’, riferendosi alla città basca bombardata nel 1937 dall’esercito tedesco e fascista. Opera capitale, in cui la dimensione perturbante del Surrealismo diventa linguaggio della ferita collettiva, politico e universale. Affascinanti, per altro verso, le ‘Femmes’ di Mirò, surrealista poeta visivo che fa diventare la donna archetipo universale. E ‘La donna fiorita’ di Dalì, che cerca semmai l’irripetibile, l’eccessivo, e del Surrealismo dà soprattutto un’interpretazione teatrale: vedere la sua imponente scenografia ‘Bacchanale’, 1939, per l’omonimo spettacolo dei Balletti Russi di Montecarlo, creduta persa, eccezionalmente presentata a Milano.