di
Paolo Condò
Il tecnico croato non ha potuto scegliere i giocatori e ha pagato con decisioni sbagliate come Thuram in panchina e Yildiz fuori posizione. Ma i problemi vengono da lontano: contratti sbagliati, liti in dinastia, conti zavorrati, e una Juventus che da anni fa 70-72 punti qualsiasi cosa accada
Nella liturgia di un esonero le frasi «non leggo i giornali» o «non guardo la tv», pronunciate da Igor Tudor martedì prima della gara di Madrid, costituiscono la penultima stazione di un precipizio che ha ormai superato il punto di non ritorno. L’ultima è il classico «non dovete chiederlo a me» in risposta alla domanda se sia finita, cui generalmente fa seguito l’esonero a stretto giro di posta.
L’allenatore braccato affonda a un certo punto la testa nella sabbia, come se in questo modo potesse sfuggire al suo destino, e non vede arrivare la sentenza. E quindi l’ultima ribellione vera di Tudor rimane quella frase scappatagli a Como su Fabregas «che ha potuto scegliersi i giocatori», letta erroneamente come una polemica verso lo spagnolo, e invece acido memento rivolto ai suoi dirigenti: guardate che io non ho potuto scegliere nessuno. Fosse stato in suo potere avrebbe preso altri uomini, ben diversi da quelli che domenica sera a Roma hanno finito di affossarlo.
Igor Tudor era il migliore degli allenatori possibili per la Juve? Naturalmente no. Le colpe di questa nuova disperazione bianconera sono tutte sue? Naturalmente nemmeno. Le colpe sono soprattutto distanti e antiche, dalla Fiat che non è più la Fiat allo sfarinamento di una dinastia — che famiglia è una in cui la madre e i figli sono in causa? —, da un ciclo di scudetti storico e irripetibile agli illusori tentativi di riprenderlo nel giro di un solo mercato, dallo sproposito CR7 che non ha finito di zavorrare i conti (a gennaio nuova udienza) al contrattone quadriennale regalato a un Pogba rotto, alla folle dinamica ascensionale di quello di Vlahovic.
In tutto questo, e in una Juve che da anni fa 70/72 punti qualsiasi cosa accada, Tudor è entrato come alfiere dell’ennesima controrivoluzione seguita a una rivoluzione fallita. Da ieri e potenzialmente fino al 2027 il suo nome figura alla voce bonifici sprecati, accanto a quello di Thiago Motta.
Esaurito l’elenco delle colpe di sistema, è chiaro che anche lui ci ha messo del suo: nella rosa della Juve c’è una voragine in mezzo al campo e nella gara per lui decisiva — lo sapeva, dai, stiamo comunque parlando di un uomo di calcio — lascia in panca Thuram, unico centrocampista elettrico a sua disposizione. E poi quell’Yildiz che da inizio stagione sta silenziosamente implorando, o almeno così vogliamo credere, lo spostamento al centro, nel cuore del gioco, dove devono stare i leader presenti ma anche quelli futuri, e invece viene lasciato a disegnare ghirigori nel suo monolocale in periferia.
E sì che Nico Paz giusto una settimana fa aveva mostrato a Kenan, a Tudor e alla Juve tutta cosa possa fare e dove debba farlo un talento cristallino. Comolli deve aver rotto gli indugi anche per evitare che un’avversaria meno spaventosa, l’Udinese, lasciandosi battere prolungasse l’agonia di Tudor.
Con sei punti di distanza dalla vetta, tre dall’irrinunciabile quarto posto, e due in tre gare nella Champions in corso, non era il caso di perdere altro tempo. Vedremo se sarà proprio Luciano Spalletti, che schiuma voglia di rivincita dopo il fallimento azzurro, l’incaricato della prossima rivoluzione. Perché è chiaro che il pendolo volge di nuovo da quella parte.
28 ottobre 2025 ( modifica il 28 ottobre 2025 | 07:12)
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