di
Viviana Mazza
Martedì 4 novembre, se hanno ragione i sondaggi, diventerà il primo sindaco musulmano di New York. Nel mondo Maga è dipinto come un anti-Cristo «marxista e jihadista», ma in questi mesi è riuscito a ricontestualizzare alcune sue posizioni e convincere molto cittadini più moderati
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Siamo andati all’ultimo comizio di Zohran Mamdani. Come europei e italiani è una storia che non possiamo ignorare. «Non solo i newyorkesi, non solo tutti gli americani, non solo il presidente Trump: tutto il mondo seguirà l’elezione del sindaco di New York», ha detto Bernie Sanders ad uno stadio pieno di 13mila persone domenica sera nel Queens. «Sapete perché?», ha domandato. «Il socialismo!», ha risposto qualcuno, ridendo, tra la folla. «Perché questa non è un’elezione normale – ha continuato Sanders – è un’elezione in un momento storico di estreme diseguaglianze».
Martedì 4 novembre, se hanno ragione i sondaggi, Mamdani diventerà il primo sindaco musulmano di New York battendo l’ex governatore Andrew Cuomo. Nel mondo Maga è dipinto come una sorta di anti-Cristo «marxista e jihadista». Ma anche il partito democratico è stato estremamente restio a riconoscerlo perché è un «socialista democratico».
Tra i suoi critici ci sono newyorkesi del mondo del business e della finanza e attivisti pro-Israele preoccupati dal suo attivismo pro-palestinese o offesi dalla sua riluttanza a condannare subito la frase «globalizzare l’intifada», della quale ha in seguito scoraggiato l’uso. Due giorni fa il giornale ebraico progressista The Forward affermava che è difficile dire se Mamdani lotterà contro l’antisemitismo perché «non sappiamo se lo riconoscerà».
Kamala Harris in un’intervista ha evitato di pronunciare il suo nome, affermando solo che appoggerà il «candidato democratico». Solo ad appena dieci giorni dalle elezioni Mamdani ha ottenuto l’endorsement dello speaker della Camera Hakeem Jeffries.
Ma è innegabile che questo politico 33enne di origini ugandesi e indiane ha creato intorno a sé un movimento che ha continuato a crescere dopo la sua vittoria la scorsa estate nelle primarie democratiche di New York e che include persone di ogni colore e ogni fede (anche ebrei newyorkesi). Lo ha fatto puntando molto sui nuovi media quando i media tradizionali non lo consideravano. Ha saputo gestire i cosiddetti «tre tre»: un candidato nell’epoca attuale deve saper spiegare le sue idee in un video social di trenta secondi, in una battuta di tre minuti in tv e in podcast di tre ore. Nello stadio del Queens, erano i new media gli unici a poter chiedere nella «application» un’intervista con Mamdani, Sanders o Alexandria Ocasio-Cortez. Una giornalista dei media tradizionali in fila criticava il sistema sottolineando: «Date la priorità a loro, che tra qualche mese vi avranno dimenticato».
Dopo aver vinto le primarie, però, Mamdani ha incontrato anche banchieri, ceo, leader delle istituzioni culturali e ogni genere di elettori scettici: lo ha fatto per consolidare il suo potere e presentandosi come un politico di sinistra pronto ad ascoltare, a riconoscere la propria mancanza di esperienza e a cercare un terreno comune. Gli hanno aperto molte porte due figure chiave del partito democratico: Patrick Gaspard, ex consigliere dell’amministrazione Obama e direttore del Comitato nazionale democratico e Sally Susman, manager e membro delle commissioni finanze nelle campagne di Obama, Hillary Clinton e Joe Biden. Democratici «moderati» colpiti dalla sua abilità nel gestire un pubblico ostile, diventati suoi alleati. Mamdani ha saputo ricontestualizzare le sue precedenti posizioni, ammorbidendo il linguaggio «socialista democratico» che – ha spiegato domenica – è quello che parla perché ha seguito le orme di Bernie Sanders. Ma secondo il New York Times, dopo le primarie Mamdani ha saputo spiegare che vuole appoggiare chi paga l’affitto ma non punire i proprietari, che vuole sostenere l’istruzione pubblica ma non penalizzare le scuole specialistiche, che appoggia i diritti dei palestinesi ma non è anti-sionista. Ha inoltre fatto concessioni importanti sulla polizia (marcia indietro rispetto al vecchio slogan #defundthepolice) e si è mostrato pronto a compromessi sulla tassa da lui proposta sui milionari.
Questa ricerca di unità era visibile domenica sera allo stadio. Quando la governatrice Kathy Hochul è apparsa sul palco, molti hanno iniziato a gridarle contro «Tax the rich»; quando Hochul criticava Trump o i repubblicani le urlavano dietro «sei tu la governatrice, sei al potere, fai qualcosa». A un certo punto ha dato l’impressione di aver pronunciato male il cognome (Mamdami) come fanno spesso Trump, Cuomo e altri suoi critici e la gente ha iniziato a gridare: «Mamdani! Mamdani!». Alla fine Mamdani è uscito sul palco, ha preso la mano alla governatrice democratica contestata, sollevandola in aria con la sua, mostrandole il suo appoggio e scortandola fuori, nel tentativo di illustrare ai sostenitori che è necessario creare un ponte con la parte centrista del partito.
Robert Wolf, un importante finanziatore del partito democratico, ha detto al New York Times che ai suoi occhi Mamdani è «un capitalista progressista, qualcuno che vuole usare il governo in modo appropriato per fare cose che contribuiscono all’uguaglianza e aiutino le persone che ne hanno bisogno».
Nel Queens, Mamdani, in giacca e cravatta strisce (una delle tre che porta a rotazione: c’è quella a pois e quella rossa), ha chiuso il suo discorso dicendo che il 4 novembre i newyorkesi cominceranno a conquistarsi la loro libertà. Libertà è una parola cooptata dai repubblicani per i quali spesso significa «libertà dal governo», come nota nel suo libro «Freedom» lo storico americano Timothy Snyder. Ma Mamdani l’ha usata in un modo diverso: ha spiegato che per lui è sinonimo di «dignità» e che il governo ha un ruolo fondamentale nel determinare che della libertà godano tutti, non solo chi può «comprarla col denaro». Il candidato, figlio della regista indiana Mira Nair e dell’accademico della Columbia University Mahmood Mamdani, ha collocato la sua fede, le sue radici indiane e ugandesi e il suo attivismo pro-palestinese al centro della campagna elettorale, confidando che i newyorkesi – soprattutto i più giovani – capiscono la sua visione anche se i tradizionali leader del partito la rigettano.
Alla fine dei conti, è il costo della vita il tema centrale della campagna di Mamdani. E sono tre le promesse centrali che ha ripetuto domenica: 1) congelare per quattro anni il costo degli affitti a New York e usare ogni metodo per costruire alloggi per chiunque ne abbia bisogno, 2) autobus gratis e più veloci, 3) assistenza all’infanzia gratuita per i genitori. Più di una volta domenica ha ricordato che tra i suoi elettori ci sono anche newyorkesi che hanno scelto Trump alle presidenziali, perché il partito democratico ha smesso di parlare il linguaggio della working class. Ma sa che non può farcela appoggiandosi solo all’estrema sinistra. «Avere ragione in sé è insignificante», dice. «Dobbiamo vincere e poi ottenere i risultati».
Il mondo in cui viene eletto Mamdani è «piccolo». Uno dei 90mila volontari che hanno bussato porta a porta per lui, Mohammad Uddin, portava la spilletta «Bengalesi per Zohran» al comizio, e ci ha spiegato cosa significhi per un musulmano come lui. Uddin conosce bene anche l’Italia, in particolare Milano, dove tanti anni fa veniva ad acquistare borse Fendi per rivenderle a Dubai. A un certo punto ci ha detto che Mamdani può «rendere l’America di nuovo grande», lo slogan di Trump. Mandeep Singh (nella foto in basso), un altro volontario che ha fatto campagna nel Queens tra le comunità del sudest asiatico, è stato di recente sul lago di Como per chiedere la mano della sua fidanzata. Singh riconosce che c’è una maggiore vicinanza per certi aspetti tra politici populisti come Trump e Sanders (e Mamdani) che tra questi ultimi e i partiti tradizionali. «E’ la teoria del ferro di cavallo: le punte sono più vicine». Viviamo in un’era di populismo.
«I politici svolgono due funzioni – ci dice -: la prima è emotiva, rispecchiare i sentimenti del proprio tempo, dare voce alle sofferenze; l’altra è tattica, ovvero trovare il modo per arrivare ai risultati». Singh nota come Mamdani ha saputo costruire una coalizione che include persone molto diverse, tutti sindacati, gente che non può permettersi l’affitto ma anche gente ricca e celebrità. «Tutte le campagne politiche realizzano tutto quello che hanno promesso? – conclude il giovane volontario – No. Ma lo voterà chi crede che la sua tattica sarà migliore di quella di Cuomo».
28 ottobre 2025 ( modifica il 28 ottobre 2025 | 11:47)
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