Dagli Us Open a Vienna è passato dal 55 al 65% di prime palle. Se vince il torneo e Carlos Alcaraz viene eliminato prima della semifinale, c’è il sorpasso
Giornalista
28 ottobre – 14:48 – MILANO
I ricordi battono dentro ogni persona come un secondo cuore. Il 3 novembre 2021, Sinner è un ventenne di bellissime speranze che ha appena assaporato l’ebbrezza dell’ingresso in top ten mentre Alcaraz, di due anni più giovane, sta iniziando la sua, di scalata verso l’empireo, da n.35 del mondo. Al Masters 1000 di Parigi, che a quei tempi si gioca ancora a Bercy, al secondo turno si affrontano per la prima volta in un match ufficiale Atp. Vince il giovane prodigio spagnolo, e per l’avversario italiano la caduta non è indolore: con la sconfitta, evapora infatti la speranza di qualificarsi da titolare alle Atp Finals; e così ci andrà solo da riserva. Quattro anni dopo, Sincaraz invece significa strapotere, ovvero sovranità assoluta sul circuito. Jannik e Carlos sono i nuovi dominatori, viaggiano in un’altra dimensione rispetto al resto della concorrenza , hanno vinto dieci Slam in due (6-4 per Carlitos) e la loro rivalità composta di 15 episodi è già una saga leggendaria.
speranza—
Sotto la Tour Eiffel, ma stavolta nella nuova arena alla Defense, Sinner e Alcaraz adesso si ritrovano dopo che gli ultimi loro sei confronti diretti hanno assegnato un titolo, compresi quelli del Roland Garros (Spagna), di Wimbledon (Italia) e degli Us Open (ancora Spagna). Una sfida infinita e scintillante, che per l’occasione, come a New York a settembre, ci aggiunge il fuoco ardente di una motivazione in più: se vince il torneo e Carlitos si ferma prima della semifinale, la Volpe Rossa riconquista infatti il n.1 al mondo ai danni dell’arcirivale, con un margine di 60 punti. Certo, lo manterrebbe solo una settimana, perché prima delle Atp Finals di Torino (che cominciano il 9 novembre) gli verrebbero sottratti i 1500 punti del trionfo da imbattuto di un anno fa, mentre il murciano ne scarterebbe appena 200. Ma si tratterebbe comunque di un sorpasso di straordinaria valenza psicologica, perché sulla classifica dell’azzurro pesano i tre mesi di assenza per la sospensione determinata dal caso Clostebol ed essere ancora a contatto di un giocatore che da aprile ha disputato solo finali (nove) è impresa fenomenale. Senza farsi venire il mal di testa per i calcoli aritmetici, Sinner chiuderebbe la stagione in vetta al ranking come nel 2024 solo se trionfasse a Parigi e al Masters (da imbattuto) e invece nei due appuntamenti lo spagnolo facesse al massimo i quarti in Francia e vincesse una sola partita del round robin a Torino senza raggiungere le semifinali. Una sorta di miracolo, insomma, di cui è consapevole pure Jannik, ma la speranza, pur flebile, fin che c’è va coltivata: “È quasi impossibile che io finisca l’anno al n.1, adesso è importante gestire bene i tornei che restano e che sono importantissimi, e poi preparare al top la prossima stagione a cominciare dall’Australia”.

progressi—
Il loro duello, d’altronde, tende all’eternità ed esalta perché spinge entrambi oltre i limiti, all’esplorazione di quei dettagli che scavino una differenza favorevole seppur infinitesimale. Nella finale persa agli Us Open, Sinner servì il 48% di prime palle, e individuò in quel misero rendimento la prima concausa della sconfitta. Il lavoro sulla battuta, del resto, è il mantra che lo accompagna fin da quando decise di affidarsi a Vagnozzi e Cahill, nel 2022. E poi Jannik è uno scolaro diligente, che si applica con determinazione feroce: infatti a New York, in 7 partite, mise il 55,4% di prime, superando il 60 (61, per l’esattezza) solo nei quarti con Musetti, mentre a Vienna la percentuale è salita al 65,2, con il picco del 68% in finale contro Zverev. Dove, nel finale di terzo set, con i crampi a pungergli la gamba destra che rendevano di vitale importanza accorciare la durata dei propri game di servizio per poi spendere le ultime energie in risposta, ha ottenuto tre ace fondamentali. Di piazzamento e non di potenza, tra l’altro, segno che è intervenuto non solo sul movimento ma anche sull’esecuzione mentale del colpo: “Non c’è nessun segreto, basta allenarsi e allenarsi molto. A volte bisogna essere coraggiosi, quindi sto ancora cercando di capire come applicare questi cambiamenti, i nuovi ritmi. Bisogna migliorare, bisogna cambiare le cose. Sono contento di come ho servito a Vienna. Il servizio è sicuramente un colpo con cui non mi sento ancora a mio agio, o con cui non ho ancora molta fiducia, ma sento di migliorare ogni giorno”. E a proposito dell’imprevedibilità che andava cercando dopo New York per uscire dalla comfort zone, il cantiere prosegue alacremente: “Credo di essere riuscito a fare delle variazioni in Austria, la palla corta è un colpo che sento più naturale; invece sul rovescio in back devo lavorare, perché devo pensarci per usarlo. Ma sicuramente può dare maggiore respiro al mio gioco: nel futuro lo slice sarà un colpo importante”. Perché la grandezza non finisce mai.
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