di
Giuseppina Manin

Sugli schermi «The Ugly Stepsister» della norvegese Blichfeldt

Chi non ha sognato di calzare la scarpetta di cristallo di Cenerentola? Per poi guardarsi il piede e scoprire che tutt’al più potrebbe entrare in una sneaker.
Frustrazione somma. Senza quella scarpina, niente principe, né trono, né amore. E allora, se non vuoi finire nella grande discarica delle perdenti, rifiutate, invisibili, non resta che osare il tutto per tutto. Il piede è l’ostacolo? Basterà tagliarne una fetta. Mannaia alzata e abbassata sulle dita, ad accorciarle in giusta misura. «I piedi grandi sono stati anche un mio cruccio. A lungo mi sono sentita brutta, inadeguata. Per quanto mi sforzassi in quella stupida scarpetta non sono mai riuscita a entrare. Perché anch’io sono una sorellastra» racconta Emilie Blichfeldt, regista norvegese di The Ugly Stepsister, rilettura nerissima della celebre favola dal punto di vista della goffa rivale di Cenerentola.
Accolta da applausi, gridolini, persino malori per il crudo realismo di certe scene al Festival di Berlino e al Sundance, la Sorellastra cattiva arriva nelle nostre sale per I Wonder da domani, vigilia di Halloween, con la medaglia di beauty horror dell’anno. Il poster, con una delicata scarpina insanguinata sulla punta, è già un programma.
«L’idea non è mia ma dei fratelli Grimm, autori della vera Cenerentola, ben poco somigliante a quella zuccherosa di Disney, dove tutto finisce bene. Oltre a mozzare le dita delle sorellastre, i Grimm, mentre la bella coi piedini da bambola sposa il principe feticista, fan calare dal cielo due colombelle che strappano alle ragazze pure gli occhi. Quel finale terribile, letto da bimba, mi è rimasto dentro». Con queste premesse non c’è da stupirsi di quel che si vedrà nel film. 

Spinta da una madre cinica, pronta a tutto purché la figlia faccia un buon matrimonio, Elvira (la bravissima Lea Myren) cresce nel mito di un azzurro fidanzato che le assicuri una vita meravigliosa. Quando si presenta l’occasione, il gran ballo a palazzo, mamma Rebekka decide di investire tutto quel che ha per trasformare la figlia bruttina in una creatura desiderabile, capace di scalzare la concorrenza di Agnes, la figliastra fin troppo bella, ereditata da un marito sposato per interesse.
Così, seguendo il detto misogino «chi bella vuol apparire tante pene deve soffrire», la sventurata Elvira si ritrova nelle mani di cerusici che, senza anestesia (nell’indefinito tempo delle fiabe non esiste), le scalpellano il naso, le allargano gli occhi puntellandoli come ad Alex DeLarge in Arancia meccanica, le limano i denti. E per farla dimagrire le fanno inghiottire una tenia vorace. Metodo che, si dice, abbia usato anche la divina Maria Callas.
Sangue, ossa spezzate, vermi che si moltiplicano e traboccano dalla gola. Splatter e humor macabro. Nulla ci viene risparmiato. 



















































Cresciuta nelle isole Lofoten senza cinema né tv, Blichfeldt, dopo l’astinenza forzata dell’infanzia ha iniziato a divorare film come aringhe, formando lo sguardo alla lezione del body horror di David Cronenberg e Lars von Trier, di Dario Argento e Lucio Fulci. E poi sono arrivate le Povere creature! di Yorgos Lanthimos, Demi Moore si sdoppia in The Substance, i sudari che svelano la decomposizione di The Shrouds.
L’ossessione per un corpo da trasformare secondo i criteri estetici di un immaginario maschile e maschilista dilaga, spinge sempre più le donne allo strazio di una chirurgia estetica diventata, specie per le giovanissime, il regalo più ambito.
«Temi che conosco bene — assicura la regista trentaquattrenne —. Per anni ho cercato il mio posto dentro una femminilità segnata da stereotipi. La sorellastra di Cenerentola mi ha accompagnata nel percorso, è diventata la mia vera sorella. Ho capito il suo dolore, provato empatia per la sua disperazione. Come lei anch’io ho desiderato di essere scelta, ho sentito il bruciore del rifiuto, la sconfitta di non riuscire ad aderire a standard impossibili. Ho fatto questo film per la ragazza che ero, con i piedi grandi e poca fiducia in sé. E per tutte le ragazze che lottano sotto il peso del sentirsi “brutte”».

Il film pone anche altre domande chiave: sulla tirannia della bellezza, su chi ha il potere di deciderla. «Ci hanno spinto a stare dalla parte di Cenerentola e abbiamo tradito noi stesse. La sorellastra, rimasta a lungo in ombra, ridicolizzata, merita di essere riconosciuta. C’è una sola Cenerentola. Tutte le altre, sorellastre che lottiamo per entrare nella scarpetta, siamo noi».

28 ottobre 2025