di
Maria Giovanna Faiella
Agendo sui principali fattori di rischio modificabili, si possono prevenire 8 casi di ictus su 10. Gli esperti in occasione della giornata mondiale: ecco come riconoscere subito i segnali. Non perdere tempo e chiamare immediatamente il 118 (o 112) per essere trasportati nell’Ospedale dove ricevere le cure adeguate
Arriva all’improvviso l’ictus, malattia cerebrovascolare acuta che ogni anno colpisce circa 120.000 italiani. Per ogni minuto perso prima di intervenire vengono bruciati circa 1,9 milioni di neuroni. Ecco perché, quando si tratta di ictus, «Ogni minuto conta», tema scelto quest’anno dalla World Stroke Organization per la Giornata mondiale contro l’ictus, che ricorre il 29 ottobre, e fatto proprio nel nostro Paese dall’Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale A.L.I.Ce. Italia odv.
Riconoscere tempestivamente i sintomi e ricevere al più presto le cure adeguate, infatti, può fare la differenza tra un pieno recupero e un danno cerebrale irreversibile, o salvare la vita stessa.
La malattia, differenza tra ictus ischemico, emorragico, TIA
Ictus (o stroke) significa «colpo», a indicare un evento improvviso e grave che causa un danno al cervello e/o la morte delle cellule nervose per l’improvvisa assenza di ossigeno e sostanze nutrienti.
Si distinguono due forme di ictus: ischemico, più frequente, che si verifica quando un coagulo di sangue ostruisce un’arteria che porta sangue al cervello; ictus emorragico, meno frequente, causato dalla rottura di un’arteria cerebrale.
Si parla invece di TIA (acronimo di transient ischaemic attack), cioè attacco ischemico transitorio, quando l’afflusso di sangue al cervello si interrompe per breve tempo senza lasciare segni, ma si tratta di un campanello d’allarme che può precedere l’ictus, quindi è bene consultare il medico in modo da fare gli accertamenti necessari.
Ogni minuto conta (non solo nella fase acuta)
Ogni minuto conta nella fase acuta e non solo, come spiega il direttore dell’Unità Trattamento Neurovascolare del Policlinico Umberto I di Roma Danilo Toni, presidente del Comitato tecnico-scientifico di ALICe Italia: «Questo principio della tempestività dell’intervento andrebbe esteso a tutti i momenti relativi all’ictus, a cominciare dalla prevenzione perché non bisogna perdere tempo a controllare i fattori di rischio, ma vanno identificati e gestiti tempestivamente: prima lo si fa e maggiore è la probabilità di ottenere una protezione contro l’evento. Poi, dopo il trattamento tempestivo nella fase acuta, non bisogna perdere tempo nell’indirizzare il paziente alla riabilitazione, poiché l’inizio tempestivo del trattamento riabilitativo è parte integrante del percorso terapeutico della persona con ictus».
Chi è più a rischio e i principali fattori modificabili
Chi è più a rischio di ictus e quali sono i principali fattori modificabili? «Innanzitutto, – chiarisce il professor Toni – rischia di più chi ha avuto già un ictus: la probabilità di avere un nuovo ictus è 2-3 volte superiore rispetto a chi non l’ha mai avuto. La familiarità – che non va confusa con l’ereditarietà, poiché solo rari casi di ictus sono su base genetica – conta, perché spesso vuol dire condividere le stesse abitudini, come per esempio l’alimentazione: nelle famiglie in cui sono obesi i genitori, di solito lo sono anche i bambini. È quindi importante individuare i fattori di rischio modificabili, come ipertensione, diabete, malattie cardiache, fumo, alimentazione poco sana, consumo eccessivo di alcol, obesità, sedentarietà, e poi non tardare a gestirli e a curarli in maniera appropriata».
Consigli per prevenire l’ictus
Secondo alcuni studi, agendo sui principali fattori di rischio modificabili, si potrebbero prevenire circa otto casi di ictus su dieci.
Per proteggersi vanno adottate sane abitudini quali:
– non fumare;
– svolgere regolare attività fisica;
– seguire una sana alimentazione, prediligendo frutta, verdura, cereali integrali, pesce, e limitando grassi, zuccheri e sale;
– mantenere un peso corporeo adeguato;
– limitare il consumo di alcolici;
– non fare uso di droghe.
E poi, tenere sotto controllo:
– ipertensione arteriosa,
– obesità,
– dislipidemie (colesterolo, trigliceridi ecc),
– diabete,
– malattie cardiache (soprattutto fibrillazione atriale).
Sintomi, come ricordarli e cosa fare
Come riconoscere i sintomi spia dell’ictus e cosa fare?
Sono associati alla cosiddetta regola del «FAST» (Face, Arms, Speech, Time), un metodo semplice per ricordarli:
«F» come face (faccia);
«A» come arm (braccio, che non si riesce a sollevare o a tenere su);
«S» come speech (linguaggio);
«T» come time (tempo ma anche telefono).
«I sintomi più evocativi – ricorda il professor Toni – sono la comparsa di una paralisi di metà del corpo (destra o sinistra), che può essere associata a una perdita di sensibilità; bocca storta; difficoltà ad articolare le parole (disartria) o non riuscire a dirle (afasia); difficoltà a vedere o visione offuscata in un occhio; disturbo dell’equilibrio, con difficoltà a stare in piedi. Se si avverte uno o più di questi sintomi – suggerisce lo specialista – non bisogna perdere tempo: non chiamare il medico curante né recarsi o farsi accompagnare in ospedale, ma chiamare subito il numero dell’emergenza 118 o 112 (nelle Regioni in cui è attivo) perché i soccorritori porteranno il paziente nell’ospedale più vicino dedicato alla cura dell’ictus».
Dove e come si cura l’ictus
Nei Centri specializzati per la cura dell’ictus (Unità Neurovascolari o Stroke Unit) si ricevono le terapie più adeguate oggi disponibili per evitare o migliorare gli esiti della malattia, ovvero la trombolisi che consente di sciogliere il trombo che ostruisce l’arteria impedendo al sangue di arrivare al cervello e la trombectomia meccanica, cioè l’asportazione meccanica del trombo mediante appositi strumenti inseriti nell’arteria occlusa.
Nel caso di ictus emorragico – meno frequente ma più grave e potenzialmente fatale -, può essere necessario un intervento neurochirurgico per l’asportazione dell’ematoma.
«Il paziente deve essere trattato il più presto possibile rispetto al momento in cui arriva – spiega il presidente del Comitato tecnico-scientifico di ALICe Italia –. Oggi sono disponibili tecniche diagnostiche che ci permettono di individuare pazienti con ictus anche a distanza di molte ore dall’esordio dei sintomi, per esempio il paziente con ictus al risveglio o che è stato trovato a casa dai familiari dopo molte ore: in questi casi, utilizzando la risonanza magnetica di perfusione o la tac di perfusione, abbiamo la possibilità di individuare pazienti trattabili in queste finestre terapeutiche ampie con la trombectomia meccanica».
Nuove terapie
A breve ci sarà un’arma in più per curare l’ictus. «Si tratta di nuovo farmaco trombolitico che si chiama tenecteplase, approvato di recente dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) per la cura dell’ictus ischemico, per cui tutte le Regioni dovrebbero renderlo disponibile in tutti gli ospedali italiani dove si effettua la trombolisi: si somministra in bolo, quindi con una sola iniezione per via endovenosa, mentre l’attuale trattamento richiede un’iniezione e poi l’infusione di un’ora – spiega il professor Toni –. Moltissimi trial hanno dimostrato che questo farmaco è efficace anche nelle cosiddette finestre terapeutiche allargate, ovvero fino a 24 ore dall’ultima volta in cui il paziente è stato visto/sentito in buona salute, selezionando i pazienti da trattare con le metodiche diagnostiche citate, cioè risonanza magnetica o tac di perfusione».
La riabilitazione dopo l’ictus
Dopo un ictus è possibile ritornare a vivere come prima o quantomeno raggiungere un buon livello di autonomia?
Una volta superata la fase di emergenza, quasi sempre è necessaria la riabilitazione in strutture dedicate, poiché spesso chi sopravvive all’ictus deve affrontare disabilità anche gravi, che dipendono dall’area del cervello colpita. Per esempio, può servire la riabilitazione motoria se il paziente non riesce a muovere la gamba o il braccio; possono essere necessarie sedute di logopedia se si è persa la capacità di parlare o comprendere le parole, scrivere e leggere; devono essere eseguiti esercizi per migliorare la deglutizione se non si riesce a deglutire in modo adeguato, o può essere necessaria la terapia occupazionale, che aiuta ad affrontare le attività quotidiane e reinserirsi in ambito lavorativo e sociale.
Rete dei Centri di riabilitazione carente
«Grazie ai progressi scientifici e all’organizzazione della Rete tempo-dipendente per l’ictus nell’ambito del Servizio sanitario nazionale – dice Andrea Vianello, presidente di ALICe Italia – oggi sono stati fatti enormi passi avanti nella gestione dell’ictus in fase acuta, quindi il più delle volte si ricevono le cure nei tempi giusti e nel posto giusto, anche se si può fare ancora meglio; in molti casi, però, il problema è il post ictus».
Eppure, osserva Vianello, «la riabilitazione è una parola “magica” perché consente di recuperare le funzioni compromesse e l’autonomia, anche a distanza di tempo». Ecco perché bisogna poter contare su «una rete di Centri di riabilitazione, ma attualmente non abbiamo neanche una mappa delle strutture di riabilitazione convenzionate col Servizio sanitario nazionale» fa notare il presidente di ALICe Italia.
Quanto alla durata della riabilitazione nelle strutture di ricovero dedicate, pubbliche o convenzionate, varia a seconda della gravità, ma dipende anche dalla Regione in cui si vive.
Il ritorno a casa
Cosa succede quando si torna a casa? Ci sono pazienti che hanno bisogno di continuare il percorso riabilitativo in ambulatorio o a domicilio, per migliorare o per non regredire. Ma le terapie riabilitative a carico del Servizio sanitario sono limitate. Chi può permetterselo si rivolge al privato, pagando.
Oggi in Italia le persone sopravvissute all’ictus, con danni di diversa entità, sono circa un milione. «Molti vivono dopo l’ictus ma rischiano di essere abbandonati; spesso, infatti, manca la presa in carico sul territorio» sottolinea Vianello.
In occasione della giornata mondiale contro l’ictus, ALICe Italia richiama l’attenzione sulla necessità di migliorare, nel nostro Paese, la gestione del post ictus, spesso trascurata. «L’obiettivo – spiega Vianello – è avere un punto di riferimento sul territorio, per esempio per i controlli periodici, o anche per capire se si stanno adottando gli stili di vita giusti. Per i pazienti e i loro familiari è importante non essere lasciati soli» conclude il presidente di ALICe Italia.
29 ottobre 2025
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