di
Alfio Sciacca

Oggi i funerali di Stato per ricordare le 229 vittime dell’alluvione che devastò il sudest della Spagna. Non si placa la rabbia contro il governatore Carlos Mazon. Ma lui annuncia: «Oggi sarò alla cerimonia»

Da un anno è l’uomo più contestato di Spagna. Nelle periodiche manifestazioni organizzate dai familiari delle vittime il bersaglio è sempre lui: il governatore della regione autonoma di Valencia. Eppure, Carlos Mazon ha assicurato che oggi sarà presente ai funerali di Stato per ricordare le vittime della Dana, l’alluvione che esattamente un anno fa uccise 229 persone. Ma oggi sarà tutta la Spagna a fermarsi per commemorare le vittime e, magari, fare tesoro dei tanti errori nella gestione di uno dei più devastanti disastri naturali che abbia mai colpito la Spagna

Il 29 ottobre del 2024, nell’arco di poche ore il Barranco del Poyo ed altri corsi d’acqua invasero strade e case di decine di agglomerati urbani densamente popolati alla periferia di Valencia. Località come Pacanya, Paiporta, Catarroja, Massanassa, Alfafar, furono invase da un mare di acqua e fango. Miracolosamente all’asciutto invece la città di Valencia. E non per uno scherzo del destino, ma per scelta dell’uomo. Un anno fa infatti la Spagna sperimentò concretamente le ricadute dell’imponente intervento di ingegneria idraulica realizzato nel 1957 con la deviazione e canalizzazione delle acque piovane proprio per mettere al riparo Valencia. Risultato: la città rimase praticamente all’asciutto, mentre furono devastati i sobborghi abitati da operai, contadini, immigrati. Oltre ai 229 morti si contarono danni per oltre 17 miliardi. 



















































A un anno di distanza, oltre al dolore resta la rabbia per come l’autorità autonoma regionale gestì l’emergenza. Nonostante sin dal primo mattino l’ente meteorologico nazionale avesse annunciato eventi estremi, nonostante le prime piogge cominciassero a ingrossare i corsi d’acqua, l’allerta sui telefoni dei residenti arrivò poco prima delle 20, quando non c’era praticamente più nulla da fare e le case erano già invase dal fango. «Il disastro naturale non si poteva evitare, ma la tragedia umana sì, la popolazione non è stata avvisata e non avvisandola ci sono state 229 vittime», attacca la presidente dell’associazione delle vittime della Dana Marilò Gradolì. 

«Nelle popolazione è rimasto un trauma collettivo che, a un anno di distanza, stiamo ancora cercando di superare». E poi ricorda quel giorno: «Il cielo ci è caduto addosso senza che cadesse una sola goccia d’acqua e un mare di acqua e fango e distruzione ha lasciato un’impronta incancellabile nelle nostre vite». 

Ma anche nei giorni a seguire la gestione dei soccorsi fu disastrosa, e molti  centri urbani per giorni rimasero isolati. Per non parlare della gestione della comunicazione. Basti citare il caso del centro commerciale del centro commerciale «Bonaire» ad Aldaia, alle porte di Valencia. All’inizio la Guardia Civil e le autorità valenciane parlarono di un «cimitero di morti» nel parcheggio sotterraneo del centro commerciale. Nessuno era stato in grado di valutare bene le presenze. Solo due giorni dopo l’allarme venne drasticamente ridimensionato. Al punto che nel parcheggio non fu trovata (fortunatamente) neanche una vittima. 

In quei giorni di grande confusione la rabbia venne sfogata anche sulle massime autorità del Paese. A una settimana dalla tragedia fu personalmente re Felipe VI ad affrontare la folla. Ma la rabbia della gente non risparmio neanche i reali, accolti al grido «Assassini». I tentativi di contatto fisico e il lancio di manciate di fango costrinsero il re ad evitare di addentrarsi nei centri  maggiormente colpiti dall’alluvione. Le immagini di re Felipe con i piedi nel fango, la moglie Letizia in lacrime e il presidente del governo Pedro Sánchez costretto a rifugiarsi in auto resteranno una pagina incancellabile nella storia della Spagna.

Ma se il risentimento nei confronti del governo centrale è stata confinata soprattutto a quei giorni, quella contro le autorità regionali non si è affatto attenuata. «Un anno dopo la Dana, continuiamo a chiedere le dimissioni del governatore di Valencia, Carlos Mazon. Deve dimettersi perché non è stato all’altezza della tragedia, perché non è all’altezza della ricostruzione e neanche del compito di garantire la sicurezza», afferma categorica Marilò
Gradolì. 

Parallelamente procede l’inchiesta giudiziaria per accertare le responsabilità di chi avrebbe potuto almeno limitare il bilancio delle vittime. Nell’indagine in corso al Tribunale di Catarroja e affidata alla giudice Nuria Ruiz Tobarra, sono per ora indagati Salomé Pradas, ex assessore alla Giustizia a capo del Cecopi (il comitato tecnico di protezione civile) incaricata della gestione  delle emergenze e il suo ex numero 2, José Antonio Martinez. La giudice Tobarra ipotizza 229 omicidi colposi «per imprudenza grave e lesioni gravi da parte della Generalitat Valenziana», accusata di «negligenza e grave incompetenza» nella gestione della crisi. Secondo l’ipoteso dell’accusa molte di quelle morti si sarebbero potute evitare con un intervento tempestivo. «Le prove della negligenza e incompetenza da parte del governo regionale sono tali che la giustizia arriverà, ne siamo convinti», chiosa la presidente del comitato dei familiari delle vittime.

29 ottobre 2025 ( modifica il 29 ottobre 2025 | 14:51)