A Roberto Bolle è stata conferita dall’Università degli Studi di Firenze la laurea magistrale honoris causa in Pratiche, linguaggi e culture della comunicazione. «Per il suo impegno appassionato nell’esaltare la capacità comunicativa della danza e per il continuativo rapporto con Firenze, palcoscenico privilegiato della sua arte», così l’ateneo ha motivato la decisione.
Accolto da un applauso, dopo aver indossato l’abito accademico fatto di toga e tocco, ha letto un messaggio di ringraziamento. Ha ricordato gli inizi, a 7 anni, in una palestra di Trino Vercellese dove un paio di volte a settimana un’insegnante dava i primi rudimenti di danza a una classe di bambine in cui lui era l’unico maschio. Poi l’impegno che si è fatto più serio, con lezioni tre volte a settimana a Vercelli. Infine il «destino bussa alla porta», con l’audizione per la scuola di ballo della Scala. Anni di sacrifici, di autobus presi la mattina presto tra le nebbie che salgono dal Po, di ore di lezione. Il riconoscimento del mondo dell’arte, e adesso anche di quello accademico, è arrivato dopo un lungo lavoro su se stesso: «Stavo vivendo un sogno, ma faticavo a gestire la pressione, non mi sentivo pronto. Prima di salire sul palco vivevo attimi di panico, ma dentro di me c’era un pensiero che non mi ha mai lasciato: “Dai il massimo”».
In tutti quei momenti, così come nel tempo pieno di fatica della formazione, ha sempre guardato ai genitori. Nel parlare di loro, Bolle non è riuscito a trattenere la commozione: «Desidero ringraziare i miei genitori, punto di riferimento autentico. Da loro ho ricevuto i valori che mi guidano ancora oggi. Il rispetto, l’educazione, la disciplina, la capacità di sacrificarsi, ma soprattutto l’esempio concreto di come si affrontano le sfide della vita». Guardandoli ha imparato «l’etica del lavoro, la serietà, la dedizione, sono lezioni che si sono rivelate indispensabili. Lezioni che ho imparato dai miei genitori che hanno lavorato instancabilmente per offrire a me e ai miei fratelli opportunità migliori. Quella loro generosità silenziosa è impressa nel mio cuore prima ancora che nella mia mente».
Roberto Bolle non parla molto del suo privato ma la commozione nel discorso della laurea fa emergere quanto sia forte il legame con la famiglia d’origine. La mamma, Maria, casalinga, si divideva tra gli impegni domestici e la cura dei figli (oltre a Roberto: il gemello Maurizio morto nel 2011, Emanuela e Paolo). Il papà, di nome Luigi, aveva una carrozzeria ed è morto nel 2016. Una volta disse che i suoi non avevano «legami artistici o musicali» e così all’inizio non lo presero sul serio: «Quando dissi ai miei che volevo diventare ballerino non mi badarono». Poi lo iscrissero a un corso, «convinti che mi sarei presto stancato». Invece non è stato così.