di
Sara Gandolfi
Retata con 2.500 agenti, i clan hanno reagito con bombe e droni. I cadaveri allineati in una lunghissima fila in strada. Il governatore: «un successo». La denuncia: molte vittime sono state uccise con spari alla nuca
Hanno allineato i cadaveri in piazza San Luca, alcuni sotto lenzuola gialle e bianche, impregnate di sangue, la maggior parte seminudi, coperti soltanto dalle mutande, con i segni delle pallottole che hanno chiuso la loro perlopiù giovanissima vita criminale. Decine di corpi che, nelle intenzioni del governatore di Rio de Janeiro, Claudio Castro, dovrebbero suonare come un avvertimento.
Sono almeno 138 i morti dell’operazione Containment, condotta martedì dalla Polizia civile e militare di Rio de Janeiro per smantellare la rete del narcotraffico in due delle favelas più popolose e violente della città carioca. «Un successo», ha detto Castro, esponente del Partito liberale dell’ex presidente Jair Bolsonaro, affiancato dal capo della Polizia Felipe Curi che ha parlato di 113 arresti, tra cui almeno dieci adolescenti.
Di tutt’altro avviso Luiz Inácio Lula da Silva, che si è detto «inorridito» per il bagno di sangue. Il ministro della Giustizia, Ricardo Lewandowski, ha dichiarato che il presidente del Brasile, appena rientrato dalla Malesia, dove ha partecipato al vertice Asean e ha finalmente incontrato il presidente americano Donald Trump, è rimasto «scioccato» dal numero di morti e si è detto sorpreso che una retata di questa portata sia stata lanciata senza che il governo federale né il presidente ne fosse informato.
L’operazione, condotta da 2.500 agenti e decine di veicoli blindati, puntava ad arrestare una settantina di membri del famigerato Comando Vermelho, una delle due fazioni criminali più potenti del Brasile, nelle favelas di Alemão e di Penha, nella parte settentrionale della città. Per impedire l’ingresso della polizia, i membri della banda hanno ordinato la chiusura delle strade e iniziato a lanciare bombe con i droni. Ne sono seguiti diversi scontri a fuoco, in cui sarebbero stati colpiti anche dei civili e quattro poliziotti sono rimasti uccisi.
Il leader del Comando Vermelho, Edgar Alves Andrade, detto Doca, 55 anni, obiettivo principale dell’operazione, è riuscito ad evitare l’arresto anche questa volta. Con una lista di 273 precedenti penali e 32 mandati di cattura pendenti, è latitante da sette anni. Su di lui pende una taglia da 100 mila reales (16.000 euro).
La brutalità degli scontri ha sconvolto il Brasile. L’avvocato Flávia Fróes, presente durante la rimozione dei corpi, ha dichiarato che molti vittime presentavano «ferite da arma da fuoco alla nuca, ferite da taglio alla schiena e ferite alle gambe» e ha definito l’operazione di polizia «il più grande massacro nella storia di Rio de Janeiro». Organizzazioni della società civile hanno chiesto alla Commissione interamericana per i diritti umani di inviare a Rio esperti e personale internazionale.
Drammatiche le testimonianze. Taua Brito ha dichiarato di aver trovato il figlio ventenne con i polsi legati nella zona boschiva che separa le due favelas. Beatriz Nolasco, residente nel complesso Alemão, ha invece raccontato al quotidiano Folha che il corpo del nipote diciannovenne, Yago Ravel Rodrigues, era decapitato e la sua testa pendeva tra i rami di un albero. Per trovare i cadaveri, molti dei quali gettati nel fiume, i familiari hanno utilizzato i dati sulla posizione inviati tramite cellulare. Alla fine, la polizia ha sequestrato un centinaio di fucili e mezza tonnellata di droga.
Le Nazioni Unite hanno espresso profonda preoccupazione per l’alto numero di vittime. «Il segretario generale è gravemente preoccupato per il grande numero di vittime», ha affermato ieri il portavoce dell’Onu, Stephane Dujarric. E in vista del vertice sul clima che si apre settimana prossima a Belém, nello stato del Parà, il governo ha rassicurato i partecipanti affermando che gli eventi del
29 ottobre 2025
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