Un film che si apre con un carillon e si chiude in una camera da letto trasformata in sepolcro. In mezzo, Luc Besson intreccia eros e morte, piume e pioggia, barocco e redenzione. Caleb Landry Jones è un Dracula esteta e dolente, Matilda De Angelis una vampira punk bolognese, Danny Elfman dirige la musica come un valzer di sangue. Tutto l’universo obbedisce all’amore, ma l’amore — come il tempo — può essere una gioia e un dolore. Al cinema dal 29 settembre con Lucky Red
Con Dracula – L’amore perduto, Luc Besson firma il suo film più intimo e visionario: una storia d’amore, morte e rinascita che riscrive il mito del vampiro al cinema. Ci sono film che succhiano sangue, e altri che succhiano malinconia. Questo appartiene alla seconda categoria.
Il film si apre su un fondo nero: un cigolio di porta, un carillon che sussurra, e subito — come in un rito iniziatico — l’amore e la morte danzano insieme. Il carillon è un metronomo dell’anima, un battito che unisce corpo e spirito. Sulle note di questa music box, il principe Vlad e la sua sposa Elisabeta si abbandonano a un turbine di piume e cuscini, di dolci baci e languide carezze. Tutto l’universo obbedisce all’amore, come avrebbe detto Battiato.
È la scena originaria del desiderio, la liturgia della passione. Ma presto la melodia si incrina: il futuro Conte Dracula, spettro di sé stesso, scimmiotta un revenant. Presagio di morte. Presagio di mito.
Trama e simboli
Bresson ambienta Dracula – L’amore perduto tra Parigi e la Transilvania, tra castelli che sembrano liquefarsi nella nebbia e interni che odorano di cera e peccato. La fotografia è sontuosa, a tratti indecente nella sua bellezza, come una sposa che non sa rinunciare al velo anche sotto la pioggia.
Il film è un rito funebre del sentimento: il bacio come resurrezione, l’abbraccio come condanna.
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Approfondimento
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Matilda De Angelis: la vampira
Nel vortice barocco di paesaggi gotici e fantasmi d’amore, fa la sua entrata anche Matilda De Angelis, che interpreta Maria de Montebello, «la prima vampira bolognese della storia del cinema». Bologna, città di torri che toccano il cielo e portici che odorano di vino e nebbia, diventa così una piccola Transilvania emiliana, epicentro di una sensualità ironica e terrena.
Il regista ha voluto che Maria fosse originaria della città di Matilda: «Quando mi ha detto che era di Bologna, ho deciso che il personaggio avrebbe avuto quella stessa origine, per darle spunti che aveva già dentro».
Matilda la descrive come «una donna punk, vivace, ironica, piena di desiderio e fame di vita».
In scena è un contrappunto: non la dama malinconica, ma una vampira moderna, impertinente, che ride nel crepuscolo. È la ruga viva del film, la crepa nel marmo gotico, il segno che il mito può anche divertirsi di se stesso.
Luc Besson e il romanticismo barocco
Dimenticate l’essenzialità di Léon o il rigore di Nikita. Qui Besson si concede tutto: tende di velluto, cavalli nella neve, piogge di sangue, rallenty infiniti e un Danny Elfman in stato di febbrile ispirazione.
Il film è un’opera gotica travestita da melodramma, o forse il contrario. È come se Francis Ford Coppola e Ken Russell avessero brindato insieme con un bicchiere di assenzio e deciso di riscrivere Dracula come una sinfonia erotica.
Besson ha costruito il suo castello dell’anima insieme allo scenografo Hugues Tissandier e alla costumista Corinne Bruand, che ha disegnato oltre duemila abiti. Ogni tessuto è una confessione, ogni stanza un ricordo. Le mura barocche del castello, color rame e oro, sembrano respirare come un organo di pietra. Dracula veste di viola imperiale, colore della regalità e del lutto, mentre le sue donne indossano azzurri e bordeaux che mutano con la luce. È un film che non teme la bellezza, anzi la assume come maledizione: il peccato originale è estetico.

Approfondimento
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Danny Elfman: la musica tra un bacio e un morso
Dopo trent’anni di attesa, Danny Elfman ha finalmente composto la colonna sonora di un Dracula. Un sogno inseguito per decenni, come se anche lui fosse vittima di un incantesimo antico.
Registrata a Budapest con la Budapest Scoring Symphonic Orchestra, la partitura è un blend di romanticismo e orrore gotico, ispirata alla leggendaria musica di Wojciech Kilar per Bram Stoker’s Dracula (1992).
Elfman definisce la sua opera “darkly sensuous”: oscura ma seducente, fatta di valzer lussuosi, carillon spettrali e improvvisi squarci di puro terrore sinfonico. È una musica che non accompagna le immagini – le divora, come se il pentagramma stesso sanguinasse.
C’è un momento, nel ballo a Parigi, in cui la musica si fa valzer funebre, sospesa tra l’organo e la risata – un po’ Berlioz, un po’ Tim Burton. È lì che il film trova il suo ritmo più autentico: quello dell’eros che danza sull’orlo del precipizio.
Besson racconta che l’incontro con Elfman è stato quasi un segno del destino: “Quando gli ho proposto il film, mi ha detto che il suo sogno era da sempre scrivere un Dracula. Aveva già rifiutato tre progetti, poi ha accettato il mio.”
Elfman ha lavorato sui valzer parigini del 1889, tra eco di carillon e ombre d’organo, fino a creare un tappeto musicale che fonde passione e rovina: il respiro stesso del vampiro.

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Gargoyle di pietra: l’infanzia perduta del male
Nel cuore del castello immerso nella nebbia, un esercito silenzioso di gargoyle veglia sull’eternità del principe. Ma non sono semplici statue: Besson rivela che quei mostriciattoli alati erano un tempo bambini, vittime di una maledizione antica. Dracula, incapace di generare vita, li ha pietrificati per tenerli con sé – come un padre impossibile, un dio mancato che trasforma la tenerezza in servitù.
È una visione che mescola crudeltà e pietà, in perfetto stile gotico alla Notre-Dame de Paris: i gargoyle diventano l’infanzia violata dell’oscurità, la purezza pietrificata dal dolore. Quando il principe delle tenebre si desta, loro si risvegliano, spezzando la pietra con un fragore che somiglia a un pianto antico.
Eros, fede e perdizione
Dracula – L’amore perduto parla di un desiderio che si fa religione. Ogni bacio è una comunione, ogni morso un sacramento rovesciato. Waltz cita la Bibbia, Dracula risponde col sangue, Mina si lascia contagiare da un sentimento che non conosce morale.
È il cinema di Besson portato all’estremo: peccatore e devoto, viscerale e infantile, capace di accendere l’immaginazione e di irritare nella stessa scena.
Molti critici hanno parlato di cliché e sessismo, ma proprio nell’imperfezione – nell’amore come ferita, non come conquista – si nasconde forse la verità del film. Un opera imperfetta, in perpetuo bilico tra il ridicolo e il sublime. Fragile, vulnerabile, irrisolta, come gli esseri umani

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Un’elegia per chi ama troppo
Nel finale, il principe delle tenebre si dissolve nella luce. Non è un trionfo, ma una resa. L’eternità non è più un dono, ma una condanna a ricordare.
Besson filma l’addio come una preghiera laica, un ultimo sguardo tra due anime che non si appartengono più. È qui che Dracula – L’amore perduto trova il suo cuore: nel dolore dell’amore che sopravvive a se stesso.
Because I love you.
I love you, too.
Due battute come epitaffio di un sentimento eterno. Cenere alla cenere, polvere alla polvere: l’anima si fa nebbia e risale il cielo, “una nuvola in calzoni”, direbbe Majakovskij.
Il prete si allontana con il cappello mesto, come padre Merrin nell’Esorcista. Per citare Dino Campana, “in un momento sono sfiorite le rose”.
Baudelaire, in uno dei suoi versi più dolenti, sembra rispondere da lontano:
«I vecchi mobili lucidi d’anni,
i muri carichi di tele, i soffitti di cornici,
e i ritratti oscuri, sante creature,
che contemplano con sguardo dolce il nulla delle abitudini morte…»
Così anche il Dracula di Besson osserva la propria eternità come una stanza piena di ricordi futili
L’amore, come l’arredamento del tempo, non si getta via: si lascia impolverare, nella speranza che qualcuno, un giorno, torni a sedersi.
E in quella polvere, Besson trova la sua redenzione estetica: il cinema come suppellettile del desiderio, l’arte come mobile che non passa mai di moda.

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Cocktail di chiusura: il Bloody Redemption
Se fosse un cocktail, Dracula – L’amore perduto sarebbe un Bloody Redemption: gin, Chambord, lime e un petalo di rosa galleggiante. Bello da vedere, troppo intenso da bere tutto d’un fiato, ma impossibile da dimenticare.
Luc Besson ci invita a sorseggiare il suo sangue scenografico come fosse un atto di fede: l’amore, dice, è la più raffinata e gustosa delle maledizioni.
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