di
Guido Santevecchi

Nel vertice in Sud Corea raggiunta l’ennesima tregua tra le due superpotenze rivali, non una pace commerciale

Sono entrati e usciti dal vertice entrambi sorridenti. Xi Jinping è apparso al solito molto più misurato di Donald Trump, che ha parlato di risultato «stupefacente». In realtà, tutto era stato concordato dai negoziatori americani e cinesi nei giorni scorsi: si tratta dell’ennesima tregua tra le due superpotenze rivali, non di una pace commerciale (e tantomeno geopolitica). 

Però, il presidente americano non ha torto ad essere entusiasta, anzitutto perché solo un paio di settimane fa il faccia a faccia nel territorio neutro della Sud Corea era sul punto di saltare: Pechino aveva ripreso a brandire l’arma delle terre rare e la Casa Bianca aveva minacciato dazi al 100% a partire dal primo novembre. 



















































Cessate il fuoco commerciale all’ultima ora dunque. E promessa di scambiarsi visite di Stato: Trump in Cina ad aprile e Xi negli Stati Uniti entro la fine del 2026. 

È noto che al presidente americano piace la diplomazia personale e spettacolare: in questi giorni ha ripreso a parlare di un prossimo incontro con Kim Jong-un.  In questo il leader cinese lo ha preceduto, ricevendo il Maresciallo nordcoreano alla parata militare a Piazza Tienanmen a settembre, assieme a Vladimir Putin. 

Non si intravede alcun cambiamento nell’atteggiamento cinese sulla guerra in Ucraina: sostegno economico alla Russia e tacita accettazione della presenza di militari nordcoreani al fronte. 

A quanto si capisce, non hanno parlato di Taiwan. E questo tutto sommato è positivo per lo status quo che da decenni garantisce l’isola democratica. 

Resta la tregua sancita dalle strette di mano e dalle due ore scarse di colloquio tra Xi e Trump. E si può dire con certezza che i due leader hanno ottenuto quello che volevano nell’immediato. 

Pechino si è impegnata a non fermare la vendita di terre rare essenziali per la produzione industriale ad alta tecnologia degli Stati Uniti e ad acquistare semi di soia. Promessa mandarina di mettere un freno anche al traffico di ingredienti per il fentanyl, la droga che fa strage di tossicodipendenti in America. 

In cambio, i dazi americani sull’export cinese scendono del 10%, restando intorno a quota 45%

Ci sono altri segni distensivi da parte americana, in particolare sulla tassazione delle grandi navi portacontainer che scaricano prodotti cinesi nei porti Usa. 

Tutto (più o meno) come prima del Liberation Day proclamato da Donald Trump lo scorso aprile, che con dazi intorno al 150% da una parte e dall’altra aveva minacciato di «disaccoppiare» i due sistemi economici. 

Però, questa sfida ha fatto cambiare tattica ai pianificatori della politica mandarina: per anni la Cina aveva sostenuto che il commercio è la «forza stabilizzatrice» delle relazioni con gli Stati Uniti. Ora gli americani si sono resi conto che il commercio di terre rare è diventato «una sciabola e uno scudo nella competizione strategica» (l’osservazione è di Sara Schuman, che ha lavorato con la prima Amministrazione Trump e poi per Biden). Le terre rare, nei piani cinesi, continueranno ad essere usate come un tappo per evitare un’escalation nei prossimi round di conflitto commerciale con Washington. 

La stampa statale ha ricordato all’opinione pubblica che la Cina è stata l’unico Paese in grado di «ribattere colpo su colpo» all’offensiva dei dazi americani. Gli analisti di Pechino definiscono la situazione «equilibrio dinamico» che durerà fino quando una delle due superpotenze non riuscirà a spezzare il dominio avversario sui semiconduttori o le terre rare, che sono i punti di forza rispettivamente di Stati Uniti e Cina.

Xi Jinping è arrivato al vertice una settimana dopo aver varato il nuovo Piano Quinquennale di crescita economica e sociale della Repubblica popolare cinese. 

L’obiettivo per il 2026-2030 è di accrescere gli investimenti in sviluppo tecnologico e continuare a sostenere l’industria tradizionale. Ai dirigisti cinesi serve tempo per coronare il sogno della supremazia tecnologica che dovrebbe garantire nel lungo periodo una «crescita di alta qualità». 

Nel frattempo, siccome il mercato interno dei consumi resta terribilmente debole, le industrie cinesi continueranno a dirottare il loro eccesso di produzione sui mercati esteri. Un pericolo soprattutto per l’Europa. Trump ha elencato ai giornalisti americani i successi della sua linea diplomatica, parlando sull’Air Force One che lo riportava in patria. 

Xi Jinping, che non fa confidenze (né alcuna dichiarazione) alla stampa, ha lasciato il lavoro ai comunicatori del Partito. Il riassunto di quanto Xi ha detto a Trump, pubblicato da Pechino, ha come al solito toni visionari (e retorici): «Lei e io siamo al timone della colossale nave delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, dobbiamo mantenere la rotta stabile a dispetto di venti e onde». 
Xi ha anche solleticato l’ego del presidente dicendo che l’aspirazione della Cina a svilupparsi e rivitalizzarsi «va mano nella mano con la visione Make America Great Again» di Trump. 

Ma la frase chiave suona come un avvertimento: «Le recenti torsioni e svolte» della sfida commerciale debbono servire da insegnamento a entrambe le parti. Appuntamento ad aprile, se non ci saranno altre «torsioni».

30 ottobre 2025 ( modifica il 30 ottobre 2025 | 15:42)