La Germania alza l’asticella e riaccende il dibattito europeo sul lavoro. Dal primo gennaio 2026 infatti, il salario minimo salirà a 13,90 euro l’ora, per poi toccare 14,60 euro nel 2027. Impossibile non fare un confronto con l’Italia, dove nessuna norma definisce un salario minimo nazionale.
Qui, il diritto a una retribuzione “proporzionata e sufficiente”, garantito dall’articolo 36 della Costituzione, viene tradotto nella pratica dai contratti collettivi di categoria, spesso non del tutto rispettati.
In Europa, 22 su su 27 Paesi hanno un salario minimo legale e in Italia l’assenza di una soglia minima nazionale apre un confronto mai del tutto spento su quanto valga davvero il lavoro e su come garantire una paga dignitosa a chi oggi resta ai margini, considerato che gli stipendi sono fermi da più di trent’anni nonostante l’impennata del costo della vita.
Aumento del salario minimo in Germania: quasi 15 euro l’ora
La Germania, come anticipato, spinge sul salario minimo. Berlino ha approvato un aumento graduale della paga oraria che passerà dagli attuali 12,82 euro a 13,90 euro dal 1° gennaio 2026, fino a 14,60 euro nel 2027. Una misura che rappresenta il rialzo più consistente dal 2015, anno in cui il salario minimo è stato introdotto.
Secondo la ministra del Lavoro tedesca, l’incremento complessivo del 13,9% nasce da un accordo tra governo e parti sociali, anche se resta sotto la soglia dei 15 euro promessi in campagna elettorale dalla coalizione di governo.
La situazione in Italia
E mentre in Germania si discute sul perché il salario minimo non arrivi ancora a 15 euro l’ora, in Italia un salario minimo nazionale non esiste. Come ricorda Eurostat, il nostro Paese è uno dei cinque dell’Unione europea senza una soglia legale.
Negli ultimi mesi il Parlamento aveva approvato una legge delega che incaricava il Governo di stabilire, entro sei mesi, i livelli retributivi minimi dei contratti collettivi “maggiormente applicati”, senza però introdurre un importo fisso per legge. L’obiettivo era garantire che i contratti più diffusi diventino il riferimento minimo per ogni settore.
Durante l’iter parlamentare, però, le posizioni si sono divise: la maggioranza ha respinto gli emendamenti che proponevano una soglia di 9 euro lordi l’ora. Alla fine la proposta è stata bocciata.
Dall’altra parte, opposizioni e sindacati parlano di “legge truffa” e “fumo negli occhi”, denunciando che oltre il 10% dei lavoratori privati resterebbe comunque sotto i minimi salariali previsti dai principali contratti collettivi, senza reali tutele aggiuntive.
Il confronto tra i salari minimi in Europa
In Europa, il quadro dei salari minimi resta profondamente disomogeneo. Secondo i dati Eurostat aggiornati nel mese di luglio 2025, sono 22 i Paesi dell’Unione ad avere un salario minimo e 5 quelli senza (tra cui Italia, Danimarca, Austria, Finlandia e Svezia).
Le differenze tra i livelli retributivi sono marcate: si passa dai 551 euro mensili lordi della Bulgaria ai 2.704 euro del Lussemburgo, che guida la classifica europea.
Ecco la classifica:
- Lussemburgo 2.704 euro;
- Irlanda 2.282 euro;
- Paesi Bassi 2.246 euro;
- Germania 2.161 euro;
- Belgio 2.112 euro;
- Francia 1.802 euro;
- Spagna 1.381 euro;
- Slovenia 1.278 euro;
- Polonia 1.091 euro;
- Lituania 1.038 euro;
- Portogallo 1.015 euro;
- Cipro 1.000 euro;
- Croazia 970 euro;
- Grecia 968 euro;
- Malta 961 euro;
- Estonia 886 euro;
- Repubblica Ceca 826 euro;
- Slovacchia 816 euro;
- Romania 814 euro;
- Lettonia 740 euro;
- Ungheria 707 euro;
- Bulgaria 551 euro.
Numeri alla mano, però, il confronto tra i salari minimi europei non racconta tutto. A incidere in modo decisivo è anche il potere d’acquisto locale: ciò che conta davvero è quanto valgono quei soldi nel Paese in cui si vive. Prendiamo ad esempio la Polonia, dove un salario minimo di 1.091 euro garantisce una capacità di spesa nettamente superiore rispetto alla Spagna o alla Germania, grazie al costo della vita più contenuto.