di
Massimiliano Nerozzi

Parte il nuovo corso dei bianconeri, che per risollevarsi hanno deciso di puntare sull’ex c.t. della Nazionale. Regole chiare, oltre alle novità tattiche

È (anche) un problema di capitale umano, mica solo di valore tecnico, questa Juve: di cultura del lavoro e di rispetto, ed è pure con questo che Luciano Spalletti dovrà confrontarsi. Mission possible, per la «competenza e l’esperienza» del nuovo allenatore, come riassumeva la nota del club che, alle sei e mezza della sera, ne ufficializzava l’ingaggio (fino al giugno 2026, con rinnovo in caso di qualificazione Champions). Dopo una giornata, la prima da bianconero, iniziata a metà mattina con l’arrivo alla Continassa, le visite al J-Medical, l’autografo sul contratto e il bagno di folla: autografi, selfie, abbracci ai bambini. Meglio del Papa. Oggi alle 12 la presentazione.

L’altra faccia dell’avventura è una Signora in grigio: dopodiché, fosse solo questione di lavagne, con Spalletti, i bianconeri sarebbero da prime quattro. Invece, al training center bisogna tornare a essere squadra, che non significa per forza essere amici (Julio Velasco docet), ma è necessario rispolverare la prima regola di ogni successo: comanda l’allenatore, cui bisogna dar retta. Prime chiacchiere meglio di un trailer (o di un avvertimento), davanti a Perin che chiedeva se andasse tutto bene: «Dipenderà da voi», sibila Spalletti, dopo aver ondeggiato con il corpo. «Siamo a disposizione». Confida chi lo conosce bene: «Luciano ha grande entusiasmo ed è la persona giusta ma la società dovrà dargli una mano». Troppe spie si sono accese, nei mesi: Da Thiago Motta — «C’è chi pretende senza dare» — a Igor Tudor, che dopo l’ultimo ko non nascose l’irritazione, fino al confronto negli spogliatoi.



















































A casa Juve è ormai un via vai di tecnici, da far sembrare Zamparini un tipo paziente: via Allegri, Motta, Tudor, per l’unica panca (vincente) di Massimo Brambilla, un traghettatore al posto di un altro traghettatore, il croato, confermato per mancanza di tempo, tra il Mondiale presente e la preparazione incombente. Per non parlare dei nomi girati: da Conte a Gasperini, il colloquio di lavoro più veloce della storia. L’idea meravigliosa, per dirla con Cesare Ragazzi, sarebbe mettere una buona volta il punto a ricostruzioni e anni zero: del resto, Spalletti non ha la storia (32 anni di panchine) e il curriculum (9 trofei, tra Italia e Russia) del traghettatore. Di più, ha l’imprimatur della proprietà, se John Elkann è stato il maggiore azionista: per decisionismo (nella scelta) e non solo per titolo (di Borsa).

Nello staff, oltre allo storico vice Marco Domenichini, avrà Giovanni Martusciello, con lui all’Inter: e che in bianconero fu il vice di Sarri, stagione vincente 2019-2020, quando andò in panchina, con il Comandante fiaccato dalla polmonite. Ci saranno pure Salvatore Russo (collaboratore) e Francesco Sinatti (preparatore atletico). S’annuncia un po’ di serietà: meno telefonini, a tavola e nelle riunioni; tolleranza zero per i ritardi agli allenamenti; basta cuffioni da alienati e playstation con moderazione.
Sul campo, il richiamo della foresta, tra 4-3-3 e 4-2-3-1. 

Morale: Kalulu finalmente terzino, Yildiz più centrale e speranze per Koopmeiners. Tanto per cambiare, l’arrivo di Lucio ha diviso le tribune del web, tra nostalgia (di Allegrismo) e rivoluzione (giochista), in una bilancia di fiducia e perplessità brutalmente riassunta da Roberto Beccantini: «Il genio di Napoli o la pippa dell’Europeo?». Altro dibattito per il tatuaggio con lo scudetto, così risolto dallo juventinissimo Flavio Briatore, a Torino per il suo Crazy Pizza: «È come un ragazzo che ha sul braccio il nome della ex: se lo vince anche qui, che si faccia il tatuaggio della Juve. E lo invito a cena».

31 ottobre 2025