di Manuela Porta

Di nuovo ai primi posti delle classifiche di vendita con il romanzo “Verrà l’alba, starai bene”, lo scrittore ripercorre l’avventura che lo ha portato dalla sua Torino fino all’estremo Oriente. «La mente può essere allenata a calmarsi», dice. «La perfezione è un’idea occidentale: quando mi guardo indietro vedo che sono stati gli errori a portarmi sulla strada giusta». Gli altri avversari del nostro benessere? «Il senso di colpa, il controllo, la solitudine»

Gianluca Gotto, torinese, scrittore, della sua passione per l’Oriente ne ha fatto una professione che, ogni volta, lo porta in cima alle classifiche, con più di un milione di copie vendute ad oggi. Anche nel suo ultimo libro, il settimo, Verrà l’alba, starai bene (Mondadori), Veronica, per la prima volta una protagonista femminile, parte per un viaggio che la porterà ad attraversare la notte oscura della sua anima.
La sua vita, come quella della protagonista, è stata un viaggio. Da Torino all’Australia, poi l’Oriente. Un viaggio che è diventato interiore, che l’ha cambiato, soprattutto quando si è avvicinato al buddismo.
«A 29 anni avevo una vita invidiabile, oltre a ogni mia rosea aspettativa, avevo la donna della mia vita accanto, vivevo in luoghi meravigliosi, una vita perfetta, ma solo esternamente, mentre dal mio mondo interiore fuggivo, perché era sottosopra. Nell’estate del 2019, sono stato punto da una zanzara a Bali che mi ha trasmesso la Dengue, una febbre tropicale che, per la prima volta, mi ha obbligato a fermarmi in un letto d’ospedale in Thailandia a pensare, non potevo scappare dai miei pensieri e qualcosa lì si è rotto. Uscito dall’ospedale la mia vita era sempre perfetta, ma la mia mente era diversa, dentro di me c’era l’inferno. Eppure, silenziosamente, il destino ha portato sulla mia strada un monaco buddista, un maestro molto importante per me, che mi ha permesso di capire come ogni cosa intorno a noi possa essere di insegnamento. Grazie a lui mi si è aperta una porta verso un’altra persona veramente carismatica, un maestro zen giapponese, incontrato nel Nord della Thailandia, che mi ha insegnato a diventare maestro di me stesso. Il buddismo rappresenta la via verso la conquista della calma. In passato mi rovinavo le giornate per tutto, poi ho scoperto che con la mente calma, limpida, cristallina, prendi le migliori decisioni della vita. La meditazione è la più potente pratica per allenare la mente a calmarsi permettendoti, così, di reagire e agire nel modo giusto, al tempo giusto, con la costante consapevolezza che la vita è un divenire incessante».

Quanto c’è di lei in questo ultimo libro?
«Nel tormento di Veronica vedo alcuni aspetti del Gianluca di prima, nelle sue manie e ossessioni, ma soprattutto in quei pensieri oscuri che purtroppo appartengono a tantissime persone, forse perché si tende sempre più a fuggire dal proprio dolore cercando poi di riempire quel vuoto in modo maldestro e quindi malsano».



















































Come mai ha scelto di raccontare una figura femminile?
«Desideravo raccontare di una persona costantemente sotto stress, il killer silenzioso dei nostri tempi, che oggi viene però quasi sempre interpretato come un valore, una spinta all’efficienza del fare, ed è proprio per questo motivo che poi diventa un mostro ingestibile. Desideravo raccontare che la sensazione provocata dallo stress a livello psicofisico dal punto di vista femminile e maschile è simile, ciò che cambia è la reazione conseguente. Volevo fare luce sulle manie relative all’apparire, sui disturbi alimentari, sull’ossessiva dipendenza dall’attività fisica: non se ne parla abbastanza. Il tema del burnout non è, però, prettamente femminile. Tutti siamo a rischio, il sistema in cui viviamo non solo non ci offre strumenti e consapevolezze, ma ci dice: “Dimentica il tuo malessere, stordisciti di fare. Non ricordare, non pensare”, così la stanchezza annebbia tutto, anche il dolore. I mostri da sconfiggere, specialmente per le donne, sono spesso invisibili, silenziosi, crudeli: perfezionismo, controllo, senso di colpa, paragone, competizione, solitudine».

Sono stati d’animo che in molti stanno attraversando…
«Mi sono preso, con questo libro, tanti rischi. Rispetto ai precedenti, qui sono andato in profondità nell’esplorazione dell’oscurità dell’anima ed è stato un viaggio intenso, a tratti difficile, ma anche gratificante. La nostra epoca vive nel superficiale. A stretto contatto con i social network ci si disabitua al dolore, osserviamo immagini atroci e ne diventiamo del tutto insensibili, ogni sentimento è appiattito. Quando poi la vita colpisce, ci si trova spiazzati. La sofferenza va accettata e attraversata, perché il dolore è realtà e perché non esiste una guarigione facile e confortevole. Io ho aperto gli occhi proprio attraverso il dolore, è in quel momento, solo in quel momento, che ho ampliato la mia visione della vita, aprendomi anche alla sofferenza degli altri».

Sono stati d’animo che in molti stanno attraversando…
«Mi sono preso, con questo libro, tanti rischi. Rispetto ai precedenti, qui sono andato in profondità nell’esplorazione dell’oscurità dell’anima ed è stato un viaggio intenso, a tratti difficile, ma anche gratificante. La nostra epoca vive nel superficiale. A stretto contatto con i social network ci si disabitua al dolore, osserviamo immagini atroci e ne diventiamo del tutto insensibili, ogni sentimento è appiattito. Quando poi la vita colpisce, ci si trova spiazzati. La sofferenza va accettata e attraversata, perché il dolore è realtà e perché non esiste una guarigione facile e confortevole. Io ho aperto gli occhi proprio attraverso il dolore, è in quel momento, solo in quel momento, che ho ampliato la mia visione della vita, aprendomi anche alla sofferenza degli altri».

Oggi si vive meglio “senza pelle” o con un’armatura?
«Attraversare il dolore è la via, ma per non sprofondarci è necessario creare una struttura, che per me è stato il buddismo, altrimenti si tende a stordirsi e a sentirsi smarriti, e quindi, poi, a riprendere a scappare. Al tempo stesso non dobbiamo dimenticare che si può essere profondi senza essere pesanti e leggeri senza essere superficiali. La vita alla fine è un gioco, un’esplorazione, un tentativo continuo».

Come vive il successo raggiunto?
«Il mio vero successo è essere riuscito, già diversi anni fa, a vivere con la mia passione per la scrittura mentre stavo in giro per il mondo. Questo successo di oggi, quindi, è una piacevole conseguenza di qualcosa che ho sempre fatto con passione e amore. Cerco però di non farmi condizionare: la prima malattia dell’uomo è guardare sempre alla cima della montagna. Il buddismo, al contrario, mi ha insegnato a sorridere durante la scalata, a godere del processo non dal risultato, altrimenti si vive in funzione di un’idea di futuro, che consuma tutto il presente. Lo stile di vita che conduco con la mia compagna e nostra figlia è semplice e tutto quello che arriva è solo in più. In Oriente, dove passo 9 mesi all’anno, mi ricarico, perché sono meno condizionato da questo coinvolgimento responsabile: qui recupero il mio equilibrio per quando poi torno in Italia».

Scrivere è una missione?
«Per stare bene non dobbiamo cercare di essere perfetti, ma diventare noi stessi. La perfezione è un’idea occidentale, del tutto illusoria. Quando mi guardo indietro, sono gli errori che mi hanno portato sulla strada giusta. Allo stesso modo, l’Ayurveda mi ha insegnato che i nostri difetti sono anche i nostri pregi. Non si può eliminare qualcosa senza eliminare tutto. È un tema a cui tengo molto, è infatti è centrale nel libro. I giovani mi parlano soprattutto di solitudine: siamo soli quando ci sentiamo incompresi. L’amicizia è un’àncora importante, in questo senso, se restiamo in superficie, saremo sempre soli. Il buddismo e gli insegnamenti millenari dell’Ayurveda possono essere importanti vie verso la luce, per me lo sono state. Questo è il primo libro, però, in cui inserisco anche una figura medica di supporto psicologico: difficile affrontare e risolvere disturbi mentali da soli e, oltre ad un certo limite, è indispensabile un aiuto».

L’alba a volte fa paura, perché dopo tanta sofferenza non si crede più che possa arrivare?
«Tutti i periodi difficili finiscono, la sofferenza non è per sempre. Il mio vissuto è questo, il buddismo mi ha trasmesso il concetto dell’impermanenza, anche il buio è destinato a evolvere, nulla resta uguale, l’alba arriva, la vita va avanti, ognuno di noi ha tante possibilità per cambiare. Se non ci rendiamo conto di questo, se perdiamo l’energia per andare avanti, è finita. Dietro l’angolo c’è sempre qualcosa che ci meraviglia, la bellezza dell’inaspettato. Nessuna notte può durare per sempre, per superarla non esistono scorciatoie, è un sentiero tortuoso, doloroso. Per raggiungere la luce dobbiamo imparare a volerci bene e a dire: “Me lo merito”. Ritrovare la fiducia, la leggerezza e piano piano le cose miglioreranno».

Nel Gianluca Gotto di oggi dove risiede l’alba?
«La mia alba risiede nella vita di mia figlia Asia, lei è la mia meravigliosa alba. La crescita di un figlio è questo, una piccola luce che si trasforma prima nel ventre materno e poi nel mondo, come il sole cresce all’orizzonte: la mia alba è lì. I bambini hanno integra l’unione tra mente, spirito e corpo. Nostro dovere è crescerli nel rispetto di questa unità e nella gentilezza, nella libertà. Sarebbe importante agire sui nostri figli senza indottrinarli, ma dare loro gli strumenti perché siano persone sane, consapevoli, equilibrate, calme. Siamo noi ad avere il compito di creare una generazione che potrà cambiare ciò che sembra irrisolvibile: insegniamo allora loro, fin da piccoli, a essere grati».

30 luglio 2025