Il giorno dopo essere tornata dal mondiale di Santiago del Cile, in cui ha conquistato l’oro nel quartetto, Martina Alzini ha preparato un’altra valigia ed è partita per Barcellona. E’ qui che la raggiungiamo, in un momento di pausa in cui parlare della fresca vittoria è un bel modo per farsi qualche risata. C’era anche lei nel 2022 a Parigi, quando per la prima volta nella loro storia le azzurre conquistarono il titolo dell’inseguimento a squadre. Quella volta uscivano dal sesto posto alle Olimpiadi di Tokyo, questa volta dal quarto di Parigi, che in proporzione ha bruciato molto di più. Non è stato per caso infatti che le italiane si siano guardate in faccia e a Santiago del Cile abbiano voluto esserci a tutti i costi. C’era una delusione da lavare con la vittoria e così è stato.
Anche in Cile, sul gradino più alto del podio l’espressione di Alzini è fra il rabbioso e il commosso, mentre le altre hanno facce da cartone animato e tutte a ridere come nel giorno più bello della loro vita. Però questa volta Martina ha uno scatto d’orgoglio e sottolinea ridendo la differenza.
«In parte è vero – ride – ma ci tengo a precisare che nel 2022 ero io quella che piangeva più di tutte, invece a questo giro il primato è della Ventu (Federica Venturelli, ndr). Infatti il video che più è diventato virale è quello in cui le dico: “Ma cosa piangi?” e ridendo la strattono. Ci tengo a precisare che è un video di affetto, uno scherzo. Nel 2022 mi sono ritrovata io nella stessa situazione di incredulità al mio primo mondiale elite. Per cui mi sono rivista tantissimo nella sua commozione ed è bello vedere come ogni ragazza reagisce a certe emozioni…».



Non è un caso che Federica abbia detto che nel quartetto sei quella che l’ha presa sotto la sua ala, la sua mamma sportiva…
E’ vero, secondo me perché le ho raccontato che in squadra (la Cofidis, ndr) ho lo stesso ruolo con Julie Bego, che ha vent’anni come lei. Sono due giovani rivali, ma si ammirano molto e in certi atteggiamenti di Federica rivedo Julie. Mi rendo anche conto che in certe situazioni mi scatta l’istinto della sorella maggiore. Non diciamo della mamma, perché poi mi sento vecchia (ride, ndr). Però sì, ormai per lei sono “mamma Marti”.
E’ facile per una ragazza tanto giovane entrare in un quartetto che si conosce da così tanto tempo?
No, di facile non c’è niente. Non è facile neppure per noi rimanerci. Il livello e la qualità sono altissime e secondo me i risultati e le varie conferme sono frutto di un lavoro scrupoloso. Penso che quest’anno sia stata una delle edizioni del mondiale che abbiamo preparato con più costanza e regolarità: non sono io a dirlo, ma tutte le volte che ci siamo trovati insieme a Montichiari. Federica ha avuto tanti impegni. E’ stata via tanto tra i mondiali in Rwanda e gli europei su strada. Però mi ha stupito che quando ha girato con noi, l’ho vista quasi senza timore, fiduciosa di quello che può fare. La sua strada è ancora molto lunga, ma non sta a me a raccontare il talento che ha. Lo dimostra da sola.
Hai dichiarato che in questo gruppo nessuno è indispensabile, per cui chi corre è davvero al massimo della forma.
E’ una cosa che mi piace tantissimo. Io stessa mi sono ritrovata in questa situazione all’Olimpiade un anno fa. Pensare 4-5 anni fa di vincere un mondiale del quartetto sembrava un sogno, invece con questo gruppo abbiamo dimostrato che dove non arriva una, arriva un’altra e ci si completa. Secondo me il bello di dire che tutte sono utili e nessuna è indispensabile è che siamo tutte utili alla causa. Sappiamo anche noi che dobbiamo tenere sempre i piedi per terra. Per me questo è fondamentale. Ho l’onore di lavorare con delle campionesse olimpiche, con cui tra l’altro siamo amiche anche al di fuori dell’ambiente. L’anno scorso siamo andate in vacanze insieme, però quando si lavora, si lavora. E tutte con i piedi ben piantati a terra: ogni volta che inizia un quartetto, riparti da zero. I titoli restano, ma al primo posto deve esserci sempre l’umiltà.


Una mentalità che c’è sempre stata?
Ad eccezione di Federica, abbiamo la fortuna di avere più o meno tutte la stessa età. E’ un gruppo di lavoro nato tanto tempo fa e questo per me è una grande forza. Se anche qualcuno si è trovato in difficoltà, il gruppo lo ha trascinato. Per cui mi sento di dire che è un progetto partito tantissimo tempo fa, che sta continuando. Ed è una grande fortuna che ci si voglia bene e che non abbiamo mai avuto particolari problemi tra di noi.
Dopo il quarto posto di Parigi, c’era davvero la voglia di rifarsi?
Penso di parlare a nome di tutte: sul piano del risultato, il quartetto di Parigi è stato una delusione, ciascuno per ragioni diverse. C’è chi si è riscattato subito, come Vittoria e Chiara (Guazzini e Cosonni, ndr), che alla fine hanno concluso l’esperienza olimpica con un oro. C’è chi come Martina (Fidanza, ndr) ha detto di avere passato un periodo negativo e la capisco bene. Per quanto mi riguarda, credo che il 2024 sia stato una stagione no e giuro che ho passato tutto l’inverno cercando di azzerare tutto e tirare fuori la cattiveria agonistica che all’Olimpiade non c’è stata. Volevo reagire a quella brutta esperienza, questo era chiaro. Tutti dicono che questo mondiale è il primo tassello verso Los Angeles. Io penso che sia una via di mezzo. Da un lato, è un cerchio che si chiude, per dire: «Cavolo, ecco, questo è il nostro valore, quindi punto e a capo». Dall’altro, è uno sguardo verso il futuro, per dire: «Ci sono delle novità, c’è una nuova giovane, ma ci siamo anche noi». E’ bello e motivante.
Di quali novità parli?
Nel mio caso, la novità è il ruolo che ho ricoperto in questo quartetto. Ho fatto la seconda frazionista, mentre di solito partivo oppure ero la terza. Mi diverte cambiare, non lo vedo come un motivo di stress, bensì come proprio una motivazione.


Per cui il mondiale è stato la ciliegina su una stagione che sei riuscita a raddrizzare?
Il 2025 mi è piaciuto, ma è stato una stagione roller coaster (le montagne russe, ndr). Siamo partite vincendo il quartetto all’europeo di Zolder. Poi mi sono fermata perché avevo due costole rotte a causa della caduta al UAE Tour. E’ stata una stagione condizionata da infortuni di cui non avevo mai sofferto prima. La frattura della scapola a metà anno, che mi ha tenuto per due mesi e mezzo fuori dalle gare. Però tirando ora una linea, ammetto che forse stare ferma per tutto quel tempo e aver ripreso da zero ha portato anche qualcosa di positivo. A ottobre, non mi sono sentita super affaticata o particolarmente stanca, quindi mi piace sempre trovare il positivo nelle cose.
Nel frattempo la Cofidis ha sostituito Cedric Vasseur nel ruolo di team manager, come l’avete vissuta?
Ci hanno mandato una mail. Abbiamo partecipato a una call su Zoom dove hanno annunciato il nuovo capo, Raphael Jeune, che già conoscevo perché era responsabile del marketing di Look. Forse ora è presto per parlare, ma le prime impressioni sono state positive. E’ venuto a trovarci nelle gare in Italia, ha passato molto tempo con ognuno di noi a parlarne, cercare di conoscerci. Mi piace il suo approccio, il suo modo di fare che sicuramente l’anno prossimo ripartirà da zero per tutti quanti. E come dicevo, ripartire da zero spesso è il modo migliore per fare bene.