Un uomo di 38 anni con la sindrome di Usher di tipo 1B, rara malattia genetica che colpisce anche la retina e che lo aveva portato quasi alla cecità, ha recuperato la vista grazie a una nuova terapia genica sperimentale. Il trattamento, effettuato lo scorso anno alla Clinica Oculistica dell’Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli, dimostra di riattivare i fotorecettori danneggiati in un paziente umano, consentendo un miglioramento significativo della funzione visiva.
Come funziona la nuova terapia
La tecnica si basa sull’iniezione subretinica di un doppio vettore virale contenente ciascuno metà della versione corretta del gene difettoso responsabile della degenerazione della retina. Una volta veicolato alle cellule bersaglio e lì ricombinato, il gene Myo7A – troppo grande per essere veicolato da un solo vettore virale tradizionale – ripristina la produzione di una proteina fondamentale per la sopravvivenza e il funzionamento dei fotorecettori, le cellule che permettono di percepire la luce. Gli esperti spiegano che il paziente aveva una vista inferiore a un decimo e vedeva più o meno come dal buco di una serratura mentre attualmente ha la capacità di percepire anche i contorni del campo visivo. «Prima tutto era confuso, indistinto. Ora riconosco i colleghi, leggo i sottotitoli in tv e riesco a uscire da solo la sera. Non è solo vedere meglio: è iniziare a vivere», ha commentato il 38enne.
La terapia genica è stata messa a punto dall’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli (Tigem) e impiegata anche su altri sette pazienti italiani, trattati anch’essi nel centro partenopeo, tra ottobre 2024 e lo scorso aprile. Per ora i dati preliminari hanno confermato tollerabilità e sicurezza della nuova terapia. «L’intervento di terapia genica non è, in sé, particolarmente complesso», ha spiegato Francesca Simonelli, ordinaria di oftalmologia, direttrice della Clinica oculistica e responsabile del Centro di terapie avanzate oculari dell’università Vanvitelli. «Si svolge in anestesia generale e prevede l’iniezione, nello spazio al di sotto della retina, di due vettori virali distinti che trasportano ciascuno metà dell’informazione genetica necessaria per produrre la proteina che manca nei pazienti. Il recupero dall’intervento è rapido e l’effetto sull’acuità visiva è visibile già dopo pochi giorni: a due settimane di distanza, per esempio, il primo paziente trattato mostrava già un miglioramento della capacità visiva e a un mese era in grado di vedere meglio anche in condizioni di scarsa luminosità. A oggi, di fatto, gli è stata restituita la vista».
Un primo passo verso cure su misura
L’innovazione non riguarda solo l’aspetto tecnico ma anche il modello di cura: il trattamento ha le potenzialità per essere personalizzabile a seconda della mutazione genetica responsabile della malattia, una versatilità tipica delle terapie geniche. Questo approccio potrebbe segnare l’inizio di una nuova era nella medicina di precisione applicata all’oftalmologia, offrendo speranza a migliaia di persone che oggi convivono con la prospettiva della cecità non solo a causa della sindrome di Usher di tipo 1B ma anche a causa di altre patologie ereditarie dell’occhio che dipendono da difetti in geni che finora non potevano essere trasferiti attraverso le procedure standard di terapia genica.