Il reclamo al Garante della privacy è pronto e potrebbe essere depositato già oggi. Raoul Bova chiede di bloccare la diffusione incontrollata dei messaggi privati che aveva inviato a Martina Ceretti, la modella più giovane di lui di 30 anni con la quale avrebbe tradito la sua compagna Rocío Muñoz Morales.

Nel reclamo, preparato dal suo team legale, l’attore romano chiede anche di sanzionare per violazione della privacy gli eventuali responsabili della proliferazione sul web delle sue conversazioni con la 23enne, in cui la definisce un «essere speciale dal sorriso meraviglioso e dagli occhi spaccanti». Quegli audio infatti sono diventati “virali” dopo che Fabrizio Corona li ha fatti ascoltare lo scorso 21 luglio nella sua trasmissione “Falsissimo” in onda su YouTube.

Chi ha dato gli audio a Corona? L’ex paparazzo sostiene di averli ricevuti dal pr milanese Federico Monzino, che si era presentato come un amico di Martina Ceretti, e che la ragazza aveva dato il suo benestare alla diffusione. Ma anche se venisse accertato dal Garante che quel consenso fosse valido, trattandosi di conversazioni con un’altra persona (ossia Raoul Bova) che non aveva dato il permesso alla divulgazione al grande pubblico, la violazione della privacy potrebbe comunque sussistere. A maggior ragione perché si tratta di registrazioni della voce dell’attore, su cui quindi la normativa è ancora più stringente, a differenza di semplici messaggi di testo.

Quelle frasi sono state riprese su quotidiani, riveste di gossip, trasmissioni televisive e in svariati post satirici sui social. Addirittura alcune – a cominciare dal neologismo degli “occhi spaccanti” coniato da Bova e diventato una sorta di “marchio di fabbrica” di questa vicenda – sono state riadattate a fini commerciali da Ryanair e dal Napoli Calcio (che dopo la minaccia di causa dell’attore ha rimosso dal canale TikTok quel contenuto).

La versione di Corona. Prima che andasse in onda la puntata di “Falsissimo”, Bova il 10 e 11 luglio ha ricevuto da un numero di cellulare spagnolo decine di messaggi minatori da un interlocutore misterioso che si offriva di bloccare Corona in cambio di «un regalo». «Altro che don Matteo. .. ho dei contenuti tra te e Martina Ceretti che ti farebbero molto male», è uno di questi messaggi. L’attore 53enne ha denunciato tutto alla polizia postale e la Procura di Roma ha aperto un fascicolo per tentata estorsione.

Sono stati perquisiti il pr, la modella e l’ex paparazzo, e sequestrati i loro cellulari. Corona ha più volte ribadito la sua versione, anche su Instagram, mostrando le prove a suo sostegno: le conversazioni via Whatsapp con il 29enne milanese. «L’audio e le chat di Raoul Bova mi sono stati consegnati volontariamente da Federico Monzino e Martina Ceretti, inviati direttamente sul mio cellulare. Non c’è stata alcuna acquisizione fraudolenta del materiale. E nel momento in cui una delle protagoniste di questa vicenda dà il consenso, il problema diventa solo suo. La ricettazione sussiste quando il materiale è stato carpito illecitamente. Cosa che non è mai avvenuta».

Consenso revocato. «Ho inviato tutto io a Fabrizio – ha confermato il pr – Martina mi aveva mandato il materiale pochi secondi prima sul mio telefono e poi mi aveva dato il consenso di inoltrargliele perché voleva diventare famosa. Il passaggio è avvenuto col suo consenso diretto, senza alcuna modifica o manipolazione». Poi però, «sentendo quello che Corona avrebbe voluto pubblicare», Ceretti «si è resa conto dell’impatto che tutto questo avrebbe potuto avere sulla sua vita privata e sulla sua immagine. Così mi ha chiesto di fermare tutto. Io ho rispettato la sua volontà – ha precisato Monzino – Ha chiesto anche lei a Corona di non far uscire nulla. A lui non è fregato nulla e ha pubblicato tutto di sua iniziativa, fuori da ogni controllo».

Quindi per il pr si tratterebbe di un consenso negato, anche se in seconda battuta. A verificare quanto accaduto sarà il Garante, che tutela anche chi ha ritirato il proprio consenso alla divulgazione di dati personali. Al di là del profilo sanzionatorio – di cui appunto si occupa l’Autorità della privacy e che dovrà decidere entro 9 mesi dall’apertura dell’istruttoria – la Procura di Roma dovrà accertare un’ipotetica violazione dell’articolo 167 del Codice della privacy, che sanziona penalmente chiunque, al fine di trarre profitto o di arrecare danno all’interessato, effettui trattamenti di dati personali in violazione delle disposizioni del codice stesso. Se così fosse, la diffusione degli audio potrebbe rappresentare una ricettazione.


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