Non solo aperitivo: perché il caso Campari pesa sull’Italia che investe in Lussemburgo

La Guardia di Finanza ha eseguito il sequestro di azioni ordinarie Davide Campari-Milano per un valore di 1.291.758.703,34 euro nei confronti di Lagfin SCA, la holding lussemburghese che controlla il gruppo.

Il provvedimento, disposto dal gip di Monza nell’ambito di un’inchiesta per “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici” e per la “responsabilità amministrativa delle persone giuridiche”, fa riferimento alla maxi-fusione del 2018 tra l’italiana Alicros e la stessa Lagfin.

Secondo gli inquirenti, non sarebbero state dichiarate plusvalenze da “exit tax” per circa 5,3 miliardi, maturate al momento del trasferimento all’estero della partecipazione che deteneva il 51% di Campari.

La società operativa e le sue controllate non risultano indagate; Lagfin ribadisce di aver sempre adempiuto ai propri obblighi fiscali e di voler difendere la propria posizione. In base al decreto, tra gli indagati figura anche il presidente di Campari, Luca Garavoglia.

Il sequestro è stato eseguito “applicando il vincolo” su azioni Campari fino a concorrenza dell’importo indicato dal gip; la cifra corrisponde, secondo l’ordinanza, all’imposta non versata al momento della presunta fuoriuscita della partecipazione dal territorio nazionale. Stime di stampa quantificano il blocco in oltre il 16% del capitale della società quotata.

Campari ha precisato che la vicenda riguarda esclusivamente la holding e non il gruppo né le sue controllate. Dal canto suo Lagfin richiama un contenzioso già in corso da due anni, affermando di aver agito nel rispetto delle norme e di considerare infondate le contestazioni. L’inchiesta, avviata a Milano e poi trasferita alla procura di Monza, nasce da verifiche della Guardia di Finanza sulle annualità 2018-2020.

Milano–Lussemburgo: cosa c’è dietro le scatole societarie

Molti gruppi italiani vedono le holding di vertice in giurisdizioni europee considerate efficienti dal punto di vista societario e fiscale. Il Lussemburgo offre un regime consolidato per le holding (partecipation exemption su dividendi e capital gain che rispettino alcuni requisiti) e, dal 2025, un’imposta sui redditi societari ridotta al 16% (aliquota massima complessiva in città di Lussemburgo al 23,87% includendo imposte locali). Non è un’anomalia italiana, ma un tassello dell’integrazione del mercato dei capitali europeo. Il punto sensibile non è “dove” si collochi la holding, ma “come” si gestiscano gli effetti fiscali dei riassetti transfrontalieri. In Italia la disciplina della “exit tax”, un recepimento della direttiva europea ATAD, richiede che, quando una società trasferisce all’estero la residenza o sposta asset/partecipazioni in modo da far venir meno la potestà impositiva italiana, si tassino le plusvalenze latenti al valore di mercato.

Il paradosso del “rosso italiano”

Campari è da oltre un secolo nell’immaginario italiano: il colore, il rito dell’aperitivo, la grafica d’autore, il Camparino in Galleria. È un costume nazionale, per questo che la notizia risuona oltre la cronaca giudiziaria. L’indagine tocca l’icona di un costume nazionale e, insieme, una multinazionale quotata con oltre cinquanta marchi globali. Nel 2025 il gruppo è tra i primi player mondiali degli spirit, da Aperol a Wild Turkey, presente in più di 190 Paesi: una creatura ormai globale che però resta legata a simboli nati a Milano. La tensione tra radici e governance transnazionale è il vero racconto culturale dietro i numeri.

Mercato e operatività

Sul piano finanziario, la misura incide sulla catena di controllo – gestita da Lagfin – ma non modifica l’operatività delle società del gruppo. Campari ribadisce di non essere parte del procedimento. Sono linee che, per ora, corrono parallele.