Altro bagno di folla ieri per Caparezza, con il “sold out“ per l’incontro con il pubblico nell’auditorium di San Francesco e per l’ennesima serie di firmacopie del disco e del fumetto appena usciti, dallo stesso titolo, “Orbit Orbit“, nello spazio a lui dedicato nel padiglione San Martino. Nell’evento in San Francesco Caparezza e alcuni dei disegnatori del fumetto da lui sceneggiato sono stati sollecitati dal conduttore, il disegnatore lucchese Simone Bianchi, a raccontare la propria parte di esperienza nella genesi e nella realizzazione della pubblicazione edita da Sergio Bonelli.

L’artista pugliese ha di nuovo ricordato come, in qualche modo, il progetto sia nato proprio a Lucca Comics & Games nel 2021, quando i due giorni passati in città come ospite gli hanno fatto tornare il sorriso, in un momento personale molto negativo dovuto ai suoi problemi con l’udito: “In un momento in cui la musica – ha spiegato Caparezza – era ormai lontana nei miei pensieri, ho capito che il fumetto poteva essere la mia ancora di salvataggio. In un primo momento volevo aprire una casa editrice ma tutti me l’hanno sconsigliato vivamente. Poi, non sapendo disegnare, ma cavandomela con la scrittura, ho pensato che sarei potuto diventare sceneggiatore. Così ho scritto una storia in quattordici capitoli, sperando di trovare qualcuno per disegnarla. E nel frattempo ho iniziato a scrivere qualche testo legato alla storia. Devo ringraziare sia i miei discografici della Bmg sia la Sergio Bonelli Editore per il loro entusiasmo che mi ha permesso di portare a termine il progetto”.

Il discorso si è poi spostato sul disco: “E’ un lavoro diverso per diverse ragioni – ha ribadito Caparezza – a partire da una condizione di rinascita per me, dopo il periodo senza musica. Poi è certamente più compatto, più omogeneo rispetto ai precedenti, perché volevo che suonasse quasi come un’opera. Musicalmente segue quello che ascoltavo quando ero bambino, a fine anni ’70: la space music, i Rockets, i Kraftwerk, l’elettronica il cosmo, il travestimento, la performance”.

“Ho 52 anni – ha concluso l’artista di Molfetta – e non mi andava più di rappare, di essere sempre aggressivo e dare l’idea del pazzo: qui la mia voce è normale e ho eliminato tanti giochi di parole. Alla fine volevo raccontare la mia pacificazione con questo mestiere e gli argomenti trattati sono anche intimi. E’ un disco onesto perché completamente diverso dagli altri. Dobbiamo slegarci dal giudizio, perché anche i fallimenti sono utili. Ho fatto il massimo che potevo e se la gente mi segue è davvero incredibile e la ringrazio”.

Paolo Ceragioli