di
Sara Gandolfi
Pronta la Nobel Machado. Ma per ora l’esercito è compatto. Il ruolo dei Paesi alleati
Per gli Stati Uniti, Nicolás Maduro è un «narcoterrorista». Come fu Manuel Noriega, il presidente-dittatore un tempo «amico» della Cia e poi finito in carcere, tra Miami e Parigi, per traffico di coca e riciclaggio. Il Venezuela, però, non è Panama. Un’invasione terrestre come l’Operazione Giusta Causa, che nel 1989 portò alla cattura del generale «Faccia d’Ananas», è improbabile. Trent’anni fa bastarono 30.000 soldati, nell’enorme Paese sudamericano non ne basterebbero dieci volte tanti. La strategia di Trump, a detta degli analisti, punta piuttosto sulla pressione, e probabilmente a breve su una grandinata di missili, che dovrebbero spingere Maduro alla resa spontanea e ad una «fuga protetta» verso un Paese amico — Russia, Cina, Cuba o qualche Stato africano — per evitare di finire in catene come Noriega.
La taglia da 50 milioni
Maduro è già stato incriminato dai procuratori statunitensi, con l’accusa di essere il capo di un narco-Stato, anche se la maggior parte della droga che invade le strade americane arriva dal Pacifico, non dal mar dei Caraibi dove affaccia il Venezuela. Sulla testa del leader chavista pende una taglia da 50 milioni di dollari, la più alta mai offerta dagli Usa. Ed è noto che, per vie informali, Washington gli avrebbe già lasciato aperta, se non addirittura spalancata, la via dell’esilio, visto che i corpi d’élite Usa, da soli, non riusciranno a trascinarlo fuori dal palazzo presidenziale di Miraflores.
Gli alleati
Finora, Maduro ha resistito, forte anche delle enormi riserve petrolifere del Venezuela, le più grandi al mondo, che fanno gola a tanti. Stati Uniti compresi. Se ha chiesto aiuto agli alleati che lo tengono in vita — la Russia con le armi, la Cina coi prestiti, l’Iran con il carburante — è nella speranza che mandino assistenza militare per resistere all’annunciato raid Usa su terra. Operazione che rischia di innescare uno scontro ben più ampio.
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I rischi di un’invasione
Combattere con le armi russe oppure rifugiarsi da Putin o Xi Jinping e lasciare campo libero alla leader dell’opposizione, il premio Nobel per la Pace Maria Corina Machado, che al Corriere ha detto: «Io sarò presidente»? Il dilemma si complica se si amplia lo sguardo allo Stato paramilitare di Caracas. Perché Maduro non è un uomo solo al comando, come vorrebbe far credere la sua agiografia. I vertici delle forze armate hanno conquistato potere e denaro all’ombra del presidente-dittatore e venderanno cara la pelle per mantenere in vita il regime. «Un’invasione sarebbe sanguinosa, prolungata e politicamente esplosiva», scrive Atlas Report.
Secondo il Miami Herald «gli attentatori ronzano in Venezuela». Ma se anche Maduro salisse sull’aereo dell’esilio o qualcuno riuscisse a farlo fuori, a Caracas resterebbe il suo Raspuntin, il ministro degli Interni e della Pace (sic) Diosdado Cabello, accusato di essere il narcoboss del Cartello dei Soli, l’uomo più potente del Venezuela. È un duro, il più falco di tutti: difficilmente se ne andrebbe senza combattere. L’opzione più probabile è dunque l’operazione chirurgica — missili mirati su infrastrutture e forse su qualche palazzo del potere — ma non è detto che Maduro se ne vada. Forse basterebbe una nuova elezione presidenziale — stavolta senza trucchi di regime — e un’amnistia, com’è successo per altre dittature militari dell’America latina ai tempi della Guerra fredda, quella prima di questa Guerra tiepida.
1 novembre 2025 ( modifica il 2 novembre 2025 | 09:20)
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