«Magari non è neanche detto che l’obiettivo sia arrivare alla riva. Forse va bene così: magari sono una sirena». Tess Masazza, 38 anni, sorride mentre lo dice, ma nelle sue parole c’è un senso di resa e rinascita insieme. Dopo la morte improvvisa della madre, una depressione affrontata con coraggio e la fatica di ricominciare, ha imparato a non avere il dovere di essere felice. «Oggi il mio obiettivo è non sentirmi in colpa per non esserlo», confessa.
La comicità l’ha fatta conoscere al grande pubblico come Insopportabilmente donna, ma dietro quell’ironia oggi c’è un’altra Tess: più vulnerabile, più sincera. Lo dimostra nel cortometraggio Mamma, diretto da Matteo Martinez e dedicato all’Alzheimer, dove interpreta una donna che perde la memoria ma non l’amore. E anche nella sua esperienza a The Traitors Italia, il reality psicologico di Prime Video condotto da Alessia Marcuzzi, in cui tra bluff e verità ha messo in gioco sé stessa, senza filtri né difese. Attrice, autrice, figlia del mondo – con radici tra Madagascar, Algeria e Francia – Tess Masazza oggi attraversa le sue fragilità come un mare in tempesta: «Regolare, ma sto nuotando. E questo è già qualcosa».

Com’è stata l’esperienza di The Traitors?
«Molto divertente, ma anche una vera sfida mentale. L’ho vissuta per quello che è: un gioco di ruolo. È stato intenso e l’ho presa come un’esperienza da vivere al momento, senza pensare troppo».

Nel corto interpreta una donna legata al tema dell’Alzheimer. Come si è avvicinata a un ruolo così diverso dai suoi lavori precedenti?
«Studio recitazione da quando sono molto piccola, e in realtà parto dal drammatico. Conoscevo già il progetto e mi ha subito stimolata. I tempi erano stretti, ma è stata una bellissima sfida.
Ho deciso di vivere il momento, senza pensare all’epilogo, concentrandomi sul rapporto con il bambino. Mi ha aiutato molto a sentirmi madre in quella situazione».

Interpretare questo personaggio ha cambiato il suo modo di percepire le relazioni familiari o la malattia?
«Sì, sicuramente. Conoscere in modo così preciso i sintomi di una patologia come questa ti sconvolge. Io non lo sapevo: pensavo, come molti, che riguardasse solo la memoria.
In realtà, come ci hanno spiegato psichiatri e psicologi specializzati, il cervello va a semplificare la percezione in molte altre cose».

Come è riuscita a proteggersi da un dolore così forte, senza lasciarsi travolgere?
«È stato fondamentale. Ho voluto trattare la malattia con il massimo rispetto, anche tecnicamente, per non esagerare. La chiave è stata essere autentica e sensibile, senza forzare nulla».

Questo ruolo ha cambiato anche la sua idea dell’amore?
«Sì, perché il corto parla proprio di un amore che va oltre la malattia, oltre la perdita, oltre quando si cancellano i ricordi. C’è una scena, alla fine, in cui il figlio guarda la madre e si capisce tutto solo dal suo sguardo: la sofferenza, l’amore, il dolore. È bellissimo raccontarlo. Ti fa rimettere in ordine le cose e renderti conto di cosa è importante e cosa no: la salute e la famiglia».