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Per Donald Trump è un “comunista”. Ma il presidente americano ha rinunciato alla campagna elettorale per impedire a Zohran Mamdani di diventare il primo sindaco musulmano di New York: troppo sbilanciati i sondaggi a suo favore, troppo distanti il vecchio arnese Andrew Cuomo e il candidato repubblicano dal basco rosso, Curtis Sliwa. In fondo, a Trump uno come Mamdani – che non è un comunista ma un socialista democratico – può far comodo in vista delle elezioni di midterm che si terranno il prossimo anno: è sufficientemente radicale da offrire argomenti al radicalismo di destra. Il testimonial ideale di quanto la politica e la società americana si stiano polarizzando, da un estremo all’altro. Il 34enne figlio della regista indiana Mira Nair e dell’accademico ugandese Mahmood Mamdani ha conquistato i cuori della New York liberal, e soprattutto di un ceto medio in difficoltà, con ricette audaci: congelamento degli affitti per alloggi soggetti a “rent stabilization” (si tratta degli affitti regolamentati); messa a disposizione di 200 mila unità abitative a prezzi accessibili; bus urbani gratuiti come misura permanente; apertura di supermercati gestiti direttamente dalla città per calmierare i prezzi dei beni di prima necessità; riqualificazione energetica di edifici pubblici con pannelli solari. Il tutto finanziato con l’aumento delle tasse a carico delle imprese e dei contribuenti milionari della Grande Mela. Per Trump e i suoi Maga è il male assoluto, la prova inconfutabile che uno spettro si aggira per l’America, e per i democratici della tradizione moderata e liberale è una rogna non di poco conto, perché l’esperimento Mamdani potrebbe fare da apripista alla sinistra-sinistra di Alexandria Ocasio Cortez alle prossime presidenziali (alle quali in ogni caso lui non potrebbe candidarsi, essendo nato in Uganda e non negli Stati Uniti).
Il punto è esattamente questo.
Al di là della biografia di Mamdani, incapace di nascondere una certa avversione al sionismo, bisogna prendere atto che al populismo di destra si sta affiancando un populismo di sinistra, e questa rischia di diventare la competizione elettorale in un futuro più prossimo che venturo. Parlare alla pancia dei cittadini, e non alla loro testa, insinuarsi nelle paure e incertezze, offrire soluzioni massimaliste: la prospettiva è poco incoraggiante per quel centro politico che dovrebbe essere invece il luogo della mediazione e della complessità. Proprio mentre l’Argentina lo rinnega, rafforzando il turbo-capitalista Milei, un nuovo peronismo sta prendendo piede in tutto il mondo. Nelle piazze occidentali alimenta la censura pro-Pal nei confronti di chiunque non auguri a Israele una pronta estinzione (il caso di Emanuele Fiano alla Ca’ Foscari è emblematico) e una carica di violenza che tradisce le ragioni forti di chi scende in piazza a difesa di un popolo martoriato. E nelle istituzioni ha appena riservato qualche sorpresa. Ad esempio l’elezione a presidente irlandese di Catherine Connolly, una carica onorifica affidata a una indipendente, molto dura con Israele e troppo indulgente con Hamas (“Fa parte del tessuto della società palestinese”, ha sostenuto in un discorso del 2024 da deputata, suscitando diverse polemiche), ambientalista, a favore di uno Stato ipertrofico a difesa dei diritti più che dell’economia. Come dire che la risposta a Trump e al trumpismo è l’anti-Trump, chiunque esso sia e ovunque alligni – nella città più cosmopolita del pianeta come nella bucolica isola europea. E questa è la vera sconfitta dell’altra sinistra, quella di governo e non solo di lotta, che rischia di diventare l’internazionale di un fallimento se non uscirà dal doppio cono d’ombra del diavolo e dell’acqua santa.
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