di
Sara Gandolfi

I video dello sbarco a Porto Rico. La Nobel Machado chiede transizione verso elezioni libere e democratiche, senza la partecipazione dell’attuale leader e dei suoi ministri

L’America rilancia la guerra psicologica contro il Venezuela con prove di infiltrazione dei marines a Porto Rico, immortalate e rilanciate in Rete sui social dal Comando Sud. Nel video, scorrono immagini di veicoli anfibi, elicotteri e militari che simulano sbarchi in territorio nemico. «Le forze statunitensi sono dispiegate nei Caraibi a supporto delle priorità del presidente per contrastare il narcotraffico e proteggere la patria», recitava il testo del post.

Sull’isola, che è «Stato libero associato degli Usa» a meno di 800 chilometri dal Venezuela, è stata anche ripristinata la base navale Roosevelt Roads, che era chiusa da oltre vent’anni. E mentre la mega-portaerei Ford s’avvicina al Mar dei Caraibi, continuano i raid sulle imbarcazioni di presunti narcos. L’ultimo ha provocato la morte di tre persone. «Questi narcoterroristi stanno portando droga sulle nostre coste per avvelenare gli americani nel loro stesso Paese, e non ci riusciranno. Il dipartimento li tratterà esattamente come trattiamo Al Qaeda», ha scritto sui social il segretario alla Difesa, Pete Hegseth. «Continueremo a rintracciarli, localizzarli, dar loro la caccia ed eliminarli».



















































La prova muscolare delle forze armate, su mandato di Trump, ha suscitato forti malumori tra i deputati democratici del Congresso, con qualche «defezione» anche nel campo repubblicano. Ieri, però, il dipartimento di Giustizia ha comunicato che i raid continueranno perché l’amministrazione Trump non è vincolata dalla War Powers Resolution, approvata nel 1973 alla fine della guerra in Vietnam, che richiede l’approvazione dei parlamentari per proseguire operazioni militari ostili oltre i 60 giorni dalla prima. Termine che scade oggi: dal 4 settembre, si contano almeno 15 attacchi statunitensi e 64 morti.

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Secondo la Casa Bianca, si tratta di un «conflitto armato non internazionale» per garantire la sicurezza nazionale contro i narcos. Definizione che non prevede l’entrata in rotta di collisione con la Russia che — assieme a Cina, Iran e Cuba — è il principale alleato del Venezuela, con cui lo scorso maggio ha firmato un accordo di partenariato strategico. Il Cremlino, che fornisce da tempo a Caracas armi e assistenza militare, ha ribadito il suo sostegno «agli amici venezuelani» contro le minacce «esistenti e potenziali» provenienti dagli Stati Uniti.

In questo clima di crescente tensione, si stanno muovendo dietro le quinte diverse diplomazie. Non è un caso che dal Brasile, il cui presidente Luiz Inácio Lula da Silva, si è offerto di mediare nella crisi, sia uscita l’indiscrezione secondo cui Nicolás Maduro sarebbe pronto a trattare con Washington. Secondo la rete O Globo, il presidente venezuelano vuole la garanzia che sia concessa l’amnistia a tutti i membri dell’attuale governo e che le forze chaviste, ovvero la sinistra che detiene il potere nel Paese dal febbraio 1999, quando si insediò Hugo Chávez, possano partecipare in un futuro esecutivo di transizione. Ipotesi già scartata da María Corina Machado, leader dell’opposizione molto vicina a Trump e premio Nobel per la Pace quest’anno, che chiede una transizione verso elezioni libere e democratiche, senza la partecipazione di Maduro e dei suoi ministri.

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3 novembre 2025 ( modifica il 3 novembre 2025 | 11:59)