
Foto: Lapresse
04 novembre 2025
Un po’ come amanti clandestini, Elly e Giuseppi non amano farsi vedere insieme in pubblico. O meglio lei generosamente insiste, e lui resta recalcitrante: procediamo per passi. In pratica freno a mano tirato. Un canovaccio che non cambia neanche per il referendum sulla separazione delle carriere dei giudici. Qualche illusione l’aveva creata lo sguardo d’insieme dell’aula del Senato, giovedì scorso, al momento dell’approvazione della riforma. I senatori del campo largo (Pd, M5S, Avs) issavano cartelli che sembravano scritti dalla stessa mano. Il film della giornata però gela subito le aspettative: nessuna conferenza stampa unitaria, la segretaria dem e il leader 5 stelle preferiscono commentare la prossima battaglia in beata solitudine. Una difficoltà che riemerge in tutta la sua crudezza, ad ora non c’è sentore di un comitato per il No che tenga insieme i partiti di minoranza. A togliere d’impiccio la sinistra ci ha pensato l’Anm. I magistrati infatti hanno battuto tutti sul campo, il loro comitato per il No è già operativo, con il costituzionalista Enrico Grosso presidente (e Nicola Gratteri volto televisivo). Così saranno le toghe a mettere a disposizione la struttura centrale, Nazareno e via di Campo Marzio si accontenteranno di fare da ruota di scorta.

Pesano le differenze di sempre, l’ex presidente del Consiglio resta fermo sull’impostazione delle ultime settimane, «Siamo progressisti indipendenti», un altro dispiacere per la collega del Pd, che vorrebbe subito andare all’altare. D’altra parte il Nazareno avrà le sue gatte da pelare, inizia a preoccupare la lista degli esponenti di prima fila che si stanno sfilando alla chiamata alle armi, sulla scia di Goffredo Bettini. E che di fatto annunciano la loro adesione al Sì. Una collocazione naturale per l’area liberaldemocratica: Enrico Morando, Stefano Ceccanti, Giorgio Tonini. Poi ci sono gli ex Ds, con Claudio Petruccioli e Cesare Salvi, che ricordano come il tema della separazione delle carriere fosse già nell’agenda della bicamerale di Massimo D’Alema. Un germe che penetra nel campo largo, con la dissociazione attiva degli ex radicali. Spiega il deputato di Più Europa Benedetto Della Vedova: «È una riforma liberale, radicale e pannelliana, certo non perfetta ma utile per avere un giudice veramente terzo». Un ragionamento condiviso da Emma Bonino: «È sempre stata una mia battaglia». Trai coinvolti il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti: «Al referendum spero vinca il sì». Anche dal comitato per il Sì costituito dalla fondazione Einaudi arrivano altre amarezze per la sinistra. Tra i promotori infatti l’ex parlamentare dem Anna Paola Concia e l’eroe di Mani Pulite, Antonio Di Pietro in persona. Voterà sì l’ex capogruppo dem in Senato Andrea Marcucci, oggi presidente del Partito Liberaldemocratico.

C’è poi Azione che ha già votato in Parlamento il disegno di legge del guardasigilli Carlo Nordio e Italia Viva (che si è astenuta) che ci sta pensando. Spiega la capogruppo a Montecitorio Maria Elena Boschi: «Stiamo valutando e discutendo al nostro interno, sappiamo che è una riforma che serve, sulla separazione delle carriere siamo sempre stati d’accordo, in sé è una cosa buona». Un clima che spinge alla cautela il leader del M5S, che vorrebbe evitare di trovarsi invischiato in un nuovo psicodramma dem. La consultazione di primavera infatti rischia di essere più una resa dei conti interna che una prova generale contro Giorgia Meloni. O meglio la tappa di avvicinamento alle primarie della coalizione, l’appuntamento in cui Elly Schlein e Giuseppe Conte si disputeranno la fascia da capitano. Meglio procedere per conto proprio. I primi sondaggi rischiano di cristallizzare le differenze (e le diffidenze), ieri You Trend ha presentato una rilevazione non proprio incoraggiante per il campo largo: i sì vincerebbero 56% a 44%, con un trend in costante crescita. Il finale rischia di essere un déjà vu: in ordine sparso verso il campo di battaglia. Un’altra primavera del nostro sconforto.
