Quando un personaggio pubblico si avvia verso la senescenza o ha problemi di salute le redazioni dei giornali, siano questi quotidiani o di settore, provvedono a scrivere il cosiddetto “coccodrillo”. L’articolo – una miscellanea di note biografiche e stralci di dichiarazioni o interviste pregresse –  resta in una cartella sul desktop di un PC per un periodo più o meno lungo, per poi venir tirato fuori alla dipartita di tale personaggio e, dopo esser stato opportunamente riattualizzato, inviato al caporedattore. Mimmo Jodice è andato via il 28 ottobre, all’età di 91 anni ma sfido chiunque abbia avuto a che fare con lui ad avere il coraggio di scongelare qualcosa di già scritto quando l’idea della sua morte era, appunto, soltanto un’idea. Per chi lo ha davvero conosciuto, per chi ha seguito la sua arte e conosce i suoi progetti, il pensiero che la sua mancanza sia reale disorienta e annichilisce.

Mimmo Jodice, Acitrezza, 1995

È difficile scrivere qualcosa che renda giustizia a un artista della levatura di Jodice. Le sue fotografie sono sempre bastate per sé e tutto ciò che è stato scritto sulla sua arte ha sempre contributo poco al reale senso di un suo progetto fotografico, perché quando un’immagine già dice tutto, le parole suonano inevitabilmente stucchevoli e superflue.

Preferisco quindi parlare di Mimmo Jodice dicendo su di lui qualcosa che magari non tutti sanno e che, solo apparentemente, ha poco a che fare con il suo essere “Il Maestro”, ossia uno dei più grandi fotografi italiani del ‘900.

Mimmo Jodice, ancor prima che un grande fotografo e artista, era laico e comunista. Lo era fin nel midollo e lo diceva con il tono pacato di chi comunica il proprio codice fiscale, come si parla di qualcosa che ti appartiene e che fa parte di te, come un braccio o una gamba. Secondo Mimmo dopo la morte non c’è proprio niente, il nulla assoluto, nessuna ricompensa o punizione, nessuna entità ultraterrena. Secondo lui, il qui e adesso è tutto ciò su cui possiamo contare.

Sotto lo sguardo magnetico dell’atleta della Villa dei Papiri – la statua pompeiana conservata al museo MANN di Napoli, protagonista di una delle sue fotografie più amate e conosciute – sono passate generazioni di uomini e donne. Jodice ben sapeva che, al confronto con quello sguardo eterno, la nostra vita è un battito di ciglia, un click di una macchina fotografica. La laicità di Mimmo Jodice si esprimeva nell’intento quotidiano di tracciare un solco: con la sua vita di uomo giusto, nel suo rapporto con gli studenti ai tempi dell’insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Napoli, in quanto padre e marito, nelle sue parole essenziali e, infine, con i suoi scatti.

Mimmo Jodice, Atleti

Tutti gli scatti di Mimmo Jodice si configurano come necessari. L’attimo in cui un raggio di sole fa capolino da una nuvola inondando di luce il mare calmo, il sorriso di un padre che corre per le scale portando in braccio suo figlio, il momento in cui, da una finestra spalancata da una folata di vento, si scorge la cupola di una chiesa napoletana, sono la massima espressione dell’urgenza di vivere ben sapendo che non abbiamo un’altra possibilità.

E poi, come dicevo, Mimmo Jodice era comunista. Lo era secondo l’interpretazione più pura del pensiero filosofico elaborato da Marx ed Engels, nel modo in cui si spiegherebbe ai bambini: l’idea di un mondo in cui tutti sono liberi e uguali, un mondo in cui tutto si condivide. Sebbene l’antropologia non sia dichiaratamente centrale nel suo pensiero artistico, Jodice con le sue foto parla molto di umanità. E lo fa nella città che ha sempre amato e in cui ha deciso di vivere: Napoli.

Mimmo Jodice, Napoli, Quartieri Spagnoli

Lo sguardo di Jodice non ha predilezione di classe o di ceto sociale, nelle sue fotografie la sontuosità di una cattedrale e il laboratorio in cui lavora un giovane sartina hanno pari dignità. La fotografia di Jodice ripudia l’accondiscendenza composta e il pietismo borghese per nutrirsi della passione dei cortei degli operai, delle vite interrotte dei ragazzi nelle carceri minorili, dell’universo inaccessibile degli abitanti delle strutture manicomiali.

Mimmo Jodice

Ne Le Piccole Virtù Natalia Ginzburg impartisce alcune raccomandazioni di vita. «Non venga mai meno l’amore per la vita, né oppresso dalla paura di vivere, ma semplicemente in stato d’attesa, intento a preparare se stesso alla propria vocazione». Mimmo Jodice ha fatto questo per tutta la vita: ha atteso il momento giusto per scattare e ha coltivato la sua vocazione mettendola al servizio degli altri, senza mai risparmiarsi.