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Dopo mesi di corsa quasi inarrestabile, l’oro ha tirato il fiato. Il metallo giallo, che a ottobre ha toccato nuovi massimi storici sfiorando quota 4.400 dollari l’oncia, ha vissuto nelle ultime sedute una correzione brusca ma salutare, utile a raffreddare l’eccessivo entusiasmo che si era accumulato tra gli investitori come sostengono gli analisti di MPS Capital Services.

Già a settembre gli esperti avevano segnalato come i fondamentali di medio periodo restassero solidi per l’oro, ma anche come il periodo autunnale – in particolare tra ottobre e novembre – fosse storicamente meno favorevole ai rialzi. Quest’anno, però, la stagionalità non si è fatta sentire: i prezzi hanno continuato a correre spinti dalle tensioni geopolitiche tra Stati Uniti e Cina, in particolare dopo le minacce di nuovi dazi da parte di Donald Trump e le restrizioni cinesi sull’export di terre rare.

Queste tensioni, unite alle attese di prossimi tagli dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, hanno alimentato forti acquisti sugli ETF fisici e mantenuto vivo l’interesse delle banche centrali, anche se con ritmi più contenuti rispetto ai mesi precedenti.

Tuttavia, a partire dal 21 ottobre, con il riemergere delle speranze di un accordo commerciale tra Washington e Pechino, il mercato ha trovato un pretesto per una correzione significativa. In un solo giorno, l’oro ha registrato la peggiore performance dal 2020, perdendo oltre il 5%.

Negli ultimi due mesi, il clima intorno al metallo prezioso era diventato eccessivamente euforico. Quando un investimento diventa “di moda” e attrae investitori che normalmente non si interessano a quella classe di attivi, il rischio di un’inversione improvvisa aumenta.

Lo conferma anche un sondaggio di Bank of America: a ottobre, il “long gold” è stato indicato dai gestori come il trade più affollato, superando persino le scommesse sui titoli tecnologici del gruppo “Magnificent 7”. La recente discesa dei prezzi ha quindi avuto un effetto positivo, ripulendo il mercato dagli eccessi speculativi e riportando l’oro su livelli più sostenibili.

Un ulteriore fattore di breve termine arriva da Pechino. Le autorità cinesi hanno recentemente modificato i benefici fiscali per l’acquisto di oro, penalizzando gli operatori non iscritti ai principali exchange (SGE e SFE). L’obiettivo è concentrare le transazioni su mercati regolamentati, così da monitorare meglio i flussi. Nel breve, però, questa decisione potrebbe ridurre la domanda di oro fisico, in particolare da parte di gioiellerie e piccoli rivenditori.

Nonostante la correzione, i fattori di fondo che sostengono il prezzo dell’oro rimangono intatti. Le banche centrali dei Paesi emergenti continuano ad accumulare riserve auree: la Corea del Sud, ad esempio, ha annunciato nuovi acquisti per la prima volta dal 2013.

Gli investitori istituzionali stanno progressivamente aumentando l’esposizione al metallo, riconoscendone il valore come strumento di diversificazione e protezione contro le incertezze geopolitiche e finanziarie. Secondo i dati raccolti da Bank of America, la quota di oro nei portafogli istituzionali resta ancora bassa, il che lascia spazio a un ulteriore incremento nel medio periodo.

Dal massimo di ottobre, continuano da MPS Capital Services, il prezzo ha perso circa il 10%, una flessione che potrebbe ancora estendersi fino al 15-20% se dovesse continuare la normalizzazione dei flussi. Tuttavia, storicamente, nei cicli rialzisti dell’oro correzioni di questa portata non hanno mai interrotto il trend di lungo periodo. Solo nel grande bear market del 2011-2015 il metallo subì un ribasso molto più pesante, oltre il 40%.

Il modello multifattoriale elaborato dagli analisti stima un fair value attorno ai 3.100 dollari l’oncia, con una fascia di sopravvalutazione fino a circa 3.400 dollari. Considerando i prezzi attuali, l’oro appare quindi sopra i livelli “giusti”, ma la correzione in corso potrebbe rappresentare un’occasione per chi intende inserirlo o rafforzarlo in portafoglio.

La combinazione tra un approccio diplomatico più cauto degli Stati Uniti verso i Paesi emergenti, l’aumento del debito pubblico globale e l’inflazione ancora sopra i target delle banche centrali dovrebbe continuare a sostenere la domanda istituzionale di oro.

In sintesi, la recente correzione appare più come un necessario “reset” del mercato che come un’inversione di tendenza. L’oro resta un pilastro di stabilità nei portafogli diversificati, soprattutto in un contesto di incertezza politica, tensioni internazionali e debiti pubblici in crescita. Per chi guarda al lungo periodo, la brillantezza del metallo giallo non sembra destinata a spegnersi.