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Valerio Mastandrea è Adriano, protagonista di Cinque secondi di Paolo Virzì

È LA LORO QUINTA VOLTA INSIEME. Dopo No – Io Napoleone, Tutta la vita davanti, La prima cosa bella e Siccità. Per la quinta volta Paolo Virzì dirige Valerio Mastandrea, in questo caso protagonista di Cinque secondi (presentato alla Festa del cinema di Roma , è nei cinema).

Una storia di dolore e tenerezza, ricca di leggerezza e di speranza. E di momenti irresistibili, che emergono da una storia che gradualmente svela i suoi segreti, come i suoi personaggi. Da Ilaria Spada e Anna Ferraioli Ravel, fino a una grande Valeria Bruni Tedeschi e a Galatea Bellugi. Tutte a far da controparte al burbero Adriano interpretato da lui, Valerio Mastandrea. Il miglior attore italiano in circolazione.

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Che storia racconta Cinque secondi: la trama e il cast del nuovo film di Paolo Virzì

Da tempo Adriano (Valerio Mastandrea) vive solo e ritirato nelle ex stalle della splendida e nobiliare Villa Guelfi, ormai disabitata e fatiscente. Un esilio volontario che improvvisamente viene interrotto dalla calata di un gruppo di ragazzi e ragazzi. Neolaureati e giovani specialisti enologi, agronomi e viticultori, sono intenzionati a riportare in vita la vigna abbandonata, per renderla nuovamente produttiva. E per farlo si stabiliscono nella villa, costituendo una sorta di comunità che lo scontroso vicino non può accettare. Costretto a interrompere la monotonia della sua routine, conquistata dopo l’abbandono del ruolo che aveva in un importante studio legale cittadino, Adriano finisce per scontrarsi con la fumantina Matilde (Galatea Bellugi).

La ragazza, nipote del Conte Guelfo Guelfi e in dolce attesa, è cresciuta nella proprietà del nonno, la stessa che ora sembra poter rifiorire, e sulla quale qualcuno inizia ad avere mire. Il conflitto li porta a conoscersi meglio, e a ritrovarsi alleati contro un mondo che non amano e non li capisce. Al quale la prima cercava un’alternativa e con il quale il secondo dovrà tornare ad avere a che fare, in un processo che lo vede imputato per “danni parentali”. E che lo porterà ad affrontare quel passato dal quale cercava di scappare.

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Al centro, Galatea Bellugi, in jeans e maglione marrone

La recensione di Cinque secondi: un grande Mastandrea, fulcro di un grande film

Può capitare che l’affetto impedisca di conservare la necessaria lucidità e l’equilibrio necessari per gestire certe situazioni. Ma se in passato anche Paolo Virzì non sempre ha saputo evitare di farsi prendere la mano, stavolta il regista fa un passo indietro. E il risultato è notevole, migliore del precedente Un altro ferragosto, dove aveva dovuto faticare per gestire un catalogo di tipi e linee narrative più articolato. In scena, tutto ruota intorno al volto e ai silenzi di Valerio Mastandrea. Al suo respiro, al suo ritmo. A lui è affidata la regia “in campo” di una vicenda sospesa tra dolore e ironia, vita e morte.

Virzì e la sua Italia amata e odiata

Nella quale torna l’Italia che Virzì odia e ama, quella che anche qui non sa trattenersi dallo sferzare (su questioni civiche, eutanasia, diritti civili, libertà di scelta, bigottismo veterocattolico e borghese, disabilità e pregiudizi). E quella nella quale spera. Che poi è quella del giovanilismo rappresentato da Matilde, giovane donna resa contrappunto generazionale, tra nuove consapevolezze e spontaneismo ingenuo. Ma non dipende dall’età il comprendere o meno la gravità delle scelte che compiamo, sembra dirci Virzì. Lui non giudica i suoi personaggi e anzi, attraverso di loro, ci invita – ancora una volta – alla libertà, non solo di pensiero.

E al confronto, anche acceso ma aperto. Come quello tra la paternità ferita del bisbetico (domato) Adriano e i suoi maldestri tentativi di recuperarla.

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Anche a costo di tornare sui propri passi, di mettersi a nudo o autodenunciarsi davanti a una giuria, a quel comune sentire che aveva scelto di rifiutare. E al quale si rivolge il film, anche coraggiosamente, nonostante qualche leggerezza qui e là (su maternità, patriarcato e identità di genere, che fanno tanto spirito del tempo). Ma sempre mostrandosi capace di sorridere dei cliché che propone, con naturalezza: in qualche maniera, disinnescandoli. La distanza tra intenzioni e realtà, tra dolcezza e responsabilità, a volte è grande. Come quella tra la vita che vorremmo e quella che ci tocca in sorte, ma Virzì si guarda bene dal colmarla. Bilanciando con grazia i diversi piani e con una scrittura piana, raccolta, a tratti interiore, il regista evita tesi e sintesi. Consapevole forse di non poter cambiare il mondo, ma fiducioso di poter suggerire riflessioni, soprattutto dopo il finale legal dal quale ognuno potrà uscire con i dubbi che crede.

Cinque secondi è l’ennesima prova che Valerio Mastandrea è il miglior attore italiano in circolazione- immagine 6

Mastandrea e Virzì sul set

5 domande a Paolo Virzì, regista di Cinque secondi

Tutto si svolge nella sua Toscana, un elemento imprescindibile nel film?

In realtà è un film semplice dal punto di vista delle ambientazioni. Quasi solo due ambienti e uno è la campagna, ma non pittoresca, non turistica, non rassicurante. Qui la mia Toscana è una specie di cespuglio selvatico, che curata produce i suoi frutti, anche dal punto di vista dello stare insieme agli altri. Questo borghese di Roma Nord con questa comunità di ragazzi, forse woke, comunque portatori di un mondo nuovo, dopo essersi guardati con curiosità, e un po’ di sospetto, diventano alleati.

Le chiavi del racconto sono l’introversione e la fiducia?

Sicuramente è un film dolorosissimo, però mi fa piacere che si veda dentro uno spiraglio di fiducia verso la natura umana e verso le relazioni. Verso la possibilità di riparare e di generare accudimento, anche dopo un percorso dentro il dolore. Il presupposto di questa storia era ripartire dal buio, dall’abisso di una persona, per capire cosa può succedere nell’animo di una persona che mette in discussione la propria vita. A questo solitario misantropo è successo un pasticcio tremendo, però si ritrova a essere disturbato dai vicini di casa, che lo riattiveranno, e dalle incursioni della sua socia dello studio, Giuliana (Valeria Bruni Tedeschi, ndr). Anche da questa relazione emerge una specie di cura, sugellata dal gesto, tenerissimo, di stirargli una camicia all’alba quando deve presentarsi in tribunale.

Il fulcro è un gigantesco Valerio Mastandrea…

Avevo pensato a Valerio sin dal primo soggettino. Un giorno mi ha chiamato, dicendomi: «Mi hai rovinato il fine settimana, mortacci tua! Adesso famolo, Pa». E questo “famolo Pa’” è diventato un imperativo per tutti noi. Lui ed evidentemente anche io avevamo bisogno di fare questo film, come se avessimo sentito un’urgenza. Dico solo che se Martin Scorsese l’avesse chiamato con una proposta lunga due anni, l’avrei aspettato!

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Galatea Bellugi

Se lui era una certezza, Galatea Bellugi è la vera rivelazione…

Ha un carisma naturale, ed è una cui la macchina da presa vuole molto bene. Nel senso che se la guardi, magari da vicino, è una specie di fanciulla graziosa, con qualcosa anche da bambina d’altri tempi. Ma se la vedi sullo schermo, diventa un animale, una belva! Non avevo pensato a lei, inizialmente, perché non la conoscevo. Però l’avevo vista in Gloria! di Margherita Vicario, e questo suo mistero, questo suo magnetismo, mi avevano conquistato. Ho scoperto un’attrice che si porta dietro delle ambivalenze, cui piace coniugare ironia e tragedia, umorismo e dolore. Si porta dietro la grazia raggiante della sua età giovanile, ma è anche capace di rovesciare questo spirito in una specie di collera rabbiosa, ha una ricchezza di sfumature… Ho avuto la incredibile fortuna di trovarla a Parigi, figlia di una danese e di un italiano, venuta al mondo in una delle esperienze teatrali più importanti, quella del Théatre du Soleil di Ariane Mnouchkine. E di avere il culo, scusate la parolaccia, di scoprire che ha fatto tutte le sue vacanze d’estate a Manciano, in Toscana, e quindi che era anche Maremmana. È stato qualcosa di magico, perché io la volevo proprio così!

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Valeria Bruni Tedeschi

Il film ha un finale controverso: come va inteso il comportamento del protagonista?

Non abbiamo voluto spiegare in maniera esplicita il dilemma di Adriano, ma suggerire il dubbio. Perché Adriano ha questo ostinato desiderio di espiazione? Mi piace lasciare il mistero, anche se io ho una mia idea ce l’ho… A voi farvi la vostra.