VASTO. Nelle scorse ore è apparso in via Tobruk a Vasto, solitario e imponente nella sua elegante ceramica bianca, un oggetto misterioso ma inconfondibile: un gabinetto. Non un’opera di arredo urbano del Comune, ma certamente il frutto dell’ingegno e della vena artistica di un cittadino con uno spiccato senso estetico… tutto suo.

A due passi dal centro storico, tra statue e palazzi d’epoca, qualcuno ha pensato bene di lasciare in eredità alla collettività la propria arte. Un gesto audace, che sembra voler sfidare il confine sottile tra inciviltà e arte concettuale.

Con un pizzico di ironia lo si potrebbe ribattezzare “Il gabinetto di via Tobruk”, richiamando alla mente “La Fontana” di Marcel Duchamp, il celebre orinatoio del 1919 che rivoluzionò l’arte del Novecento. Se Duchamp voleva dimostrare che anche un oggetto comune può diventare arte quando cambia contesto, il misterioso artista vastese sembra aver voluto portare quel concetto alle estreme conseguenze — e direttamente in mezzo alla strada.

Chiaramente, ironia a parte, non si tratta di una denuncia silenziosa contro il degrado urbano, o di un atto performativo di rara provocazione; ma più semplicemente del gesto disinvolto di chi ha scambiato via Tobruk per una discarica a cielo aperto.

Nel frattempo, i passanti osservano, commentano, scattano foto e sorridono: in fondo, non capita tutti i giorni di imbattersi in una mostra d’arte contemporanea… gratuita e all’aperto.

Così, tra il sarcasmo e l’indignazione, il confine tra installazione artistica e maleducazione civica si fa sempre più sottile.
E Vasto, suo malgrado, entra a pieno titolo nel panorama dell’arte concettuale 2.0.

Federico Cosenza