Le fratture legate all’osteoporosi sono destinate a raddoppiare entro il 2050, ma la buona notizia è che una soluzione concreta esiste già. A evidenziarlo è un nuovo Perspective pubblicato sul prestigioso New England Journal of Medicine, che vede come primo autore Nicola Napoli, direttore dell’Unità operativa complessa delle Patologie osteo-metaboliche e della tiroide della Fondazione Policlinico Campus Bio-Medico di Roma.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto l’osteoporosi come una delle principali minacce alla salute pubblica globale, a causa del forte impatto in termini di disabilità e mortalità. I dati parlano chiaro: il tasso di mortalità entro i 12 mesi successivi a una frattura di femore varia dal 14,4% al 28,3%, e può arrivare fino al 55% per i pazienti ospitati in RSA. Nonostante ciò, meno del 20% dei pazienti riceve i trattamenti raccomandati dal Ministero della Salute.
La soluzione indicata dagli esperti è il Fracture Liaison Service (FLS), un modello di presa in carico ospedaliera che permette di identificare precocemente i pazienti con fratture da fragilità, assicurando una valutazione multidisciplinare e un trattamento farmacologico e riabilitativo appropriato.
I risultati, sottolineano i ricercatori, sono notevoli: riduzione del rischio di nuove fratture fino al 74% nel primo anno e del 32% negli anni successivi: “Il peso delle fratture da fragilità sui sistemi sanitari – spiega il professor Napoli – è notevole e richiede un coordinamento tra più specializzazioni — endocrinologia, geriatria, ortopedia, riabilitazione, medicina di famiglia”.
Mentre Regno Unito, Australia e Giappone hanno già adottato con successo questo modello, in Italia l’implementazione è ancora parziale: “Garantire l’accesso alle cure, la sensibilizzazione dei medici e un’azione coordinata tra società scientifiche, governi e autorità sanitarie – sottolinea Napoli – è fondamentale per ridurre morbidità e mortalità legate alle fratture”.
Lo studio, firmato anche dai professori Peter R. Ebeling (Monash University, Australia) e Douglas Kiel (Harvard Medical School, USA), lancia un messaggio chiaro: investire oggi nella prevenzione dell’osteoporosi significa risparmiare domani — in vite umane e in risorse sanitarie.