di
Sara Bettoni
La dottoressa aderisce allo sciopero indetto dal sindacato Snami e dall’associazione Lamg per il 5 novembre contro il «ruolo unico»: «La burocrazia è in continuo aumento, a scapito dell’assistenza ai malati»
«Va bene, ma ora sto facendo le vaccinazioni domiciliari, poi ho ambulatorio fino alle 8 di stasera. Ci possiamo sentire dopo?». Chiamo Erika Conforti, 40 anni, medico di famiglia di Milano, per chiederle come mai lei e altri colleghi del sindacato Snami e dell’associazione Lamg sciopereranno il 5 novembre (studi chiusi, protesta sotto al Pirellone a Milano). Mi telefona all’ora di cena, mentre torna a casa.
Giornata impegnativa, dottoressa. Quanti pazienti ha?
«Da sei mesi ho aumentato il massimale da 1.750 a 2 mila. Lavoro in zona Bullona. È un ambito carente, ci sono meno medici del necessario, quindi è possibile alzare il tetto di assistiti per venire incontro alle esigenze del territorio. Ma devo dire che ho sentito la differenza».
In cosa?
«Sento il timore di non riuscire a stare al passo delle esigenze di tutti i pazienti. Sono troppi per un medico solo. Figuriamoci la medicina d’iniziativa: come faccio a contattarli per sapere come stanno, come procedono le loro terapie?».
Come è organizzato il suo studio?
«Faccio parte di una forma associativa avanzata: siamo sette medici divisi in due sedi, in ciascuna sono presenti infermieri e una segretaria. Così i pazienti al mattino possono venire a farsi fare i vaccini, le medicazioni, a togliere i punti. La segreteria prende gli appuntamenti e restituisce le ricette. Tutto personale che paghiamo di tasca nostra, perché noi medici di famiglia siamo liberi professionisti convenzionati con il Servizio sanitario nazionale. Gli incentivi che riceviamo dalla Regione coprono solo una parte di queste spese, a cui si aggiungo i costi per tenere aperto lo studio: le bollette, la pulizia, il materiale usa e getta, i software…».
Come è organizzata la sua giornata tipo?
«Ogni mattina rispondo per due ore alle telefonate dei pazienti per consulti clinici. Poi il cellulare rimane acceso fino alle 20, ma ho chiesto di chiamarmi solo per le urgenze. Se ho studio al mattino, inizio a visitare e vado avanti per cinque ore. La prima mezz’ora/ora per malattie e urgenze, poi continuo con gli appuntamenti e i certificati. Finito questo, continuo con le ricette. E arrivo almeno alle 18».
Non mi dirà che tutti i suoi colleghi hanno questa routine…
«Io sono medico di famiglia da circa 6 anni e non so come fosse 20 anni fa, ma oggi non si lavora 3 ore al giorno».
Tra i motivi della protesta indetta da Snami e Lamg c’è il no al ruolo unico. Di che si tratta?
«Significa che ogni medico in convenzione da gennaio 2025 e chi decide di aderire alla novità, oltre a gestire i propri pazienti dovrà lavorare in casa di comunità, non è ancora chiaro facendo cosa. Chi ha 1.750 assistiti dovrà fare 6 ore a settimana in casa di comunità, chi ne ha di meno avrà un “debito orario” maggiore».
Si sta spingendo molto sulle case di comunità, che senza voi medici rischiano di rimanere scatole vuole e non punti di riferimento sul territorio per i cittadini. In questo modo non le state boicottando?
«Ma dove le trovo queste sei ore? La notte e nel weekend? E chi cura i miei pazienti?».
Al secondo punto della protesta c’è la mancanza di tutele per maternità e paternità.
«Confermo, quando sono rimasta incinta nel 2021 – e la mia era una gravidanza a rischio – ho chiesto ad Ats un sostituto, ma mi hanno detto che non c’era nessuno disponibile. Ho dovuto gestirmi da sola, trovando colleghi che ogni tanto mi coprivano lo studio. Sono stata a casa dal primo agosto, l’11 ho partorito. E solo grazie al sindacato ho trovato un sostituto, che per il primo mese ho dovuto pagare io al costo di 120/150 euro al giorno. Dal secondo al settimo mese Ats mi ha decurtato del 70 per cento il cedolino. Per quanto riguarda Enpam, l’indennità di maternità è calcolata sul guadagno dei due anni precedenti. Ma io ero corsista al corso di Medicina generale, quindi ho racimolato poco».
Passare alla dipendenza ed entrare a pieno titolo nel Servizio sanitario nazionale potrebbe essere la soluzione anche a questo problema.
«La soluzione secondo noi non è la dipendenza. La parte burocratica del nostro lavoro è in continuo aumento, basti pensare che dobbiamo usare 14 portali web diversi. Come potremmo conciliare questo aspetto con le visite dei pazienti, avendo orari fissi come tutti i dipendenti? E che fine farebbe il personale che abbiamo già assunto nei nostri studi? Inoltre, con la dipendenza il cittadino perderebbe la possibilità di scegliere liberamente il proprio medico, che a quel punto non sarebbe più un medico di famiglia, con cui si instaura un rapporto di fiducia».
Come rilanciare la vostra figura, allora?
«Partendo dalla formazione, che deve essere riconosciuta a livello universitario come le altre specializzazioni – e con la stessa borsa di studio. Poi con una riduzione della burocrazia e dei disservizi informatici che ogni giorno ci fanno perdere tempo. E serve un aumento degli incentivi per far fronte all’aumento delle spese di gestione degli ambulatori».
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5 novembre 2025 ( modifica il 5 novembre 2025 | 11:54)
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