di
Luigi Ferrarella

La Corte ribadisce che è capace di intendere e volere, ma le concede le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, recuperando alcuni tratti critici del suo assetto mentale

«Incapace di intendere e di volere» no, ma i disturbi mentali – di cui effettivamente almeno la seconda perizia di ufficio ha dato conto – valgono, nella valutazione dei giudici della Corte d’Assise d’Appello d’assise di Milano, le attenuanti generiche che abbattono l’ergastolo in primo grado e abbassano a 24 anni di carcere la condanna in secondo grado di Alessia Pifferi per aver lasciato sola a casa a morire di sete e fame la figlia di 18 mesi Diana, nei sei giorni di luglio 2022 in cui la madre rimase in vacanza fuori Milano con un uomo. 

Il meccanismo delle attenuanti 

La differenza sta nel punto dove stavolta si ferma il pendolo dell’aritmetica giudiziaria. Per la Corte di primo grado la 38enne nel 2022 era «capace di intendere e volere» non un «abbandono di minore» con morte come conseguenza (tesi difensiva da 3 a 8 anni di pena), bensì con «dolo diretto» l’«omicidio volontario» della figlia Diana di 18 mesi, lasciata 6 giorni sola con «due biberon di latte, due bottigliette d’acqua e una di teuccio». L’omicidio è punito con non meno di 21 anni e non più di 24, ma, essendo aggravato dal rapporto di filiazione, senza attenuanti aveva fatto scattare (anche senza l’esclusa aggravante della premeditazione) l’ergastolo.



















































Adesso, invece, i giudici della Corte d’Appello d’Assise, pur concordando sul suo non essere incapace di intendere e volere, recuperano alcuni tratti critici del suo assetto mentale (delineati da quella perizia d’ufficio alla quale si era sempre opposto il pm Francesco De Tommasi) per concederle le attenuanti generiche in misura equivalente alle aggravanti: il che le elide, e riporta la pena al massimo possibile per l’omicidio semplice (cioè senza aggravanti), 24 anni.

La risposta della perizia

Nella perizia d’ufficio disposta dalla Corte d’Appello, lo psichiatra Giacomo Francesco Filippini, il neuropsichiatra infantile Stefano Benzoni e la neuropsicologa Nadia Bolognini, dopo osservazione clinica, test in carcere a Vigevano, e studio dei documenti scolastici, in agosto avevano rilevato che in Pifferi è «settoriale la sua fragilità cognitiva», che, «accompagnata da immaturità affettiva», è «residuo di disturbi del neurosviluppo» risalenti «all’infanzia-adolescenza e complessivamente evoluti in senso migliorativo in età adulta»: ma questo «deficit cognitivo è scarsamente incidente» su Pifferi, nel senso che «non invalida significativamente il suo funzionamento psico-sociale».

La pg: un’idea indicibile 

«La condotta che abbiamo di fronte – aveva propugnato in mattinata la rappresentante dell’accusa Lucilla Tontodonati nel chiedere la conferma dell’ergastolo – è particolarmente raccapricciante, ma anche particolarmente difficile da accettare concettualmente perché è una condotta omissiva. Non è una mamma che butta la figlia dalla finestra, ma che lascia una bambina soffrire per cinque giorni e mezzo nel caldo di luglio a Milano, senza aria condizionata e con le finestre chiuse». 

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Questo spiazza e disorienta perché «è un nostro retaggio culturale pensare che una madre non possa sopprimere la sua bambina, ma accade, perché è uno dei tanti aspetti della natura umana». E c’è una «difficoltà nell’accettare l’idea che una persona capace di intendere e volere possa fare una cosa del genere. Pensiamo che chi l’ha fatto sia pazzo. Ma questo ormai lo dobbiamo eliminare dal nostro pensiero, perché abbiamo ben due perizie d’ufficio, oltre alle consulenze di parte».

La difesa: andare contro la gente 

«Decidere richiede molto coraggio da parte vostra andare contro l’opinione pubblica – aveva ribattuto l’avvocata Alessia Pontenani – perché, se prenderete una decisione diversa da quella richiesta della Procura, sarete sui giornali indicati come pazzi. Io, come avvocato difensore del “mostro”, sono tacciata di essere un mostro a mia volta. Forse Alessia Pifferi è un mostro, ma siamo sicuri che abbia voluto uccidere Diana volontariamente? No, io ne sono sicura. Ha fatto una cosa orribile, dal Dopoguerra in poi non credo sia mai successo che una madre abbiamo ucciso una figlia facendola morire di fame. Ma Alessia Pifferi non è mai stata una bambina, una adolescente, una adulta normale. La Procura dice che non è pazza, ma nessuno dice che è pazza: è una ritardata mentale, tutti i test ci dimostrano che ha deficit su ogni aspetto della mente umana. Quello che l’ha danneggiata è questa capacità apparente di eloquio, ma quando ci parli è un vaso vuoto. Non ha nulla dentro, perché quando provi ad approfondire un concetto, Alessia non ce la fa, non ha capacità controfattuale, non ragiona, non riesce a trovare soluzioni alternative. Questo risulta dai test, non è una persona normale, non è come noi».


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5 novembre 2025 ( modifica il 5 novembre 2025 | 18:11)