È successo di nuovo: due ciclisti sono stati multati. La loro colpa? Aver pedalato affiancati lungo una tranquilla strada di campagna. Succede a Solignano, nel modenese, dove due amici in bicicletta si sono visti fermare dalla polizia locale e consegnare una multa da 18 euro*. Una cifra simbolica, ma che riapre un tema già visto e rivisto: è davvero pericoloso pedalare affiancati? O piuttosto è la norma a essere rimasta ferma in un’epoca in cui le strade e le auto erano molto diverse da oggi?

Cosa dice la legge

A regolare il comportamento dei ciclisti è l’articolo 182 del Codice della Strada, che recita:

“I ciclisti devono procedere su unica fila in tutti i casi in cui le condizioni della circolazione lo richiedano e, comunque, mai affiancati in numero superiore a due; quando circolano fuori dai centri abitati devono sempre procedere su unica fila, salvo che uno di essi sia minore di anni dieci e proceda sulla destra dell’altro”.

In sostanza, fuori dai centri abitati non si può pedalare affiancati, nemmeno in due. All’interno delle città, invece, la regola lascia un margine interpretativo (“in tutti i casi in cui le condizioni della circolazione lo richiedano”) che in passato ha portato anche a decisioni diverse nei tribunali: ad esempio, nel 2009, il Giudice di Pace di Taggia (Imperia) annullò una multa a due ciclisti, riconoscendo che in quel momento non esistevano condizioni di pericolo tali da vietare la pedalata affiancata.

C’è chi non trova niente di strano in questa legge, e anzi, la ritiene sacrosanta. Molti addirittura la usano come uno scudo per giustificare l’intolleranza verso i ciclisti: se succede un incidente, il primo pensiero è spesso che i ciclisti stavano pedalando affiancati. Se rallentano il traffico, diventano subito “quelli che non rispettano le regole”.

Questa mentalità finisce per ridurre i ciclisti a un blocco uniforme di “colpevoli”, senza considerare le reali difficoltà e i pericoli che affrontano ogni giorno. Ma bisognerebbe chiedersi se quella regola, scritta in un’epoca in cui le auto erano più piccole e le strade meno affollate, sia ancora davvero in grado di tutelare la sicurezza di chi pedala oggi.

Perché la regola andrebbe ripensata

Chi pedala lo sa: stare troppo vicino al bordo della strada può essere molto più pericoloso che occupare parte della corsia. Fossi, ghiaia, buche, tombini, ma anche il rischio delle portiere aperte dalle auto parcheggiate rendono il margine destro un territorio pieno di insidie.

E poi c’è la questione della visibilità. Due ciclisti affiancati occupano più o meno lo stesso spazio di un’auto e risultano molto più visibili a chi arriva da dietro. In fila indiana, invece, un automobilista può essere tentato di sorpassare senza rispettare la distanza laterale di sicurezza: è proprio in questi casi che si verificano molti incidenti.

Queste considerazioni sono alla base della recente proposta presentata dalla Federciclismo, che nel settembre 2025 ha chiesto, tra le altre cose, di eliminare l’obbligo di procedere in fila indiana sulle strade extraurbane. Secondo la Federazione, permettere ai ciclisti di viaggiare affiancati aumenterebbe la visibilità del gruppo e renderebbe i sorpassi più sicuri, costringendo gli automobilisti a trattarli come un’unica entità compatta. Una misura semplice, ma potenzialmente decisiva per ridurre gli incidenti sulle strade dove oggi si concentrano oltre l’80% delle vittime in bicicletta.

Forse è da qui che bisogna ripartire: non da regole nate per limitare i ciclisti, ma da norme pensate per proteggere la loro presenza sulla strada.

Dall’Italia all’estero: non un episodio isolato

Il dibattito di questi ultimi giorni non è una novità. In Italia, infatti, continuano a fioccare sanzioni per chi pedala affiancato, come accaduto l’anno scorso a due ciclisti professionisti fermati durante un allenamento. Casi come questo accendono i riflettori su una contraddizione evidente: una norma pensata per garantire sicurezza finisce spesso per punire comportamenti che, in molti contesti, rendono i ciclisti più visibili e quindi più protetti.

Negli altri paesi europei la prospettiva è diversa. Nel Regno Unito, ad esempio, il Highway Code incoraggia i ciclisti a procedere affiancati quando le condizioni lo consentono, proprio per aumentare la visibilità e costringere gli automobilisti a sorpassi più larghi. Così come in Spagna. Nei Paesi Bassi e Danimarca, l’affiancamento non è percepito come un’infrazione ma come una normale modalità di convivenza in strada.

In Italia, invece, la multa per chi pedala di fianco continua a essere un riflesso di una cultura stradale che vede la bicicletta come un ostacolo, non come un mezzo da tutelare.

Una legge scritta per un’altra epoca

L’articolo 182 del Codice della Strada nasce in un contesto automobilistico, non ciclabile. Oggi, con città sempre più congestionate e un numero crescente di persone che scelgono la bici per spostarsi, è il momento di chiedersi se abbia ancora senso obbligare chi pedala a “sparire” ai margini della carreggiata.

Questo non per rivendicare privilegi, ma per costruire una convivenza più sicura, in cui la visibilità dei ciclisti sia vista non come un fastidio, ma come una garanzia di sicurezza per tutti.

*[Fonte]

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