Il Team Cofidis ha vissuto forse la sua stagione peggiore. La storica squadra francese ha chiuso un’annata con appena nove vittorie ed è retrocessa dal WorldTour, essendo arrivata ventesima nel ranking. Un colpo non da poco per un team che, pur senza grandissimi campioni, si è sempre distinto nel panorama ciclistico internazionale.
Ne è conseguito l’allontanamento del team manager Cédric Vasseur e l’arrivo di Raphael Jeune. Di questo rimescolamento, di quel che è stata la stagione e di ciò che sarà, abbiamo parlato con Roberto Damiani, direttore sportivo e ormai colonna portante della squadra francese.


Roberto, dunque, che stagione è stata?
Una stagione iniziata tutto sommato bene, almeno fino ad aprile, poi siamo andati in difficoltà. Il perché: odio accampare scuse, ma è certo che qualcosa non ha girato per il verso giusto. Abbiamo fatto tutti degli errori e come dico sempre si vince e si perde tutti insieme. Ognuno ha le sue responsabilità se le cose non sono andate come pensavamo.
E ora?
Abbiamo fatto le nostre analisi e possiamo dire che ripartiremo con ancora più grinta.
C’è stato un grande cambio al vertice: via Cédric Vasseur, dentro Raphaël Jeune…
E’ stato un cambio deciso dall’alto, da Cofidis come azienda. Io sono arrivato in questo gruppo otto anni fa proprio con Vasseur e con lui ho sempre lavorato molto bene. Ma quando mi hanno proposto il rinnovo ho deciso di rimanere, perché voglio continuare a dare il meglio. Prima Cédric era il mio team manager, ora è un amico. Ci sentiamo ancora.
Si dice che proprio Vasseur sia stato travolto dallo stress dei punti a un certo punto della stagione. Questo ha contagiato anche il resto del team?
Certo, ma ditemi chi, dal decimo posto in giù del ranking UCI, non sia stato travolto da questa paura, da questa paranoia. C’era per tutti una vera tensione da punti, non solo per noi della Cofidis. Guardiamo le squadre con cui eravamo in lotta: XDS-Astana, Uno-X Mobility, Picnic-PostNL… Tutti hanno cambiato modo di correre e di gestire le gare. In quante corse si è andati non per vincere ma per fare punti? Questo ha inevitabilmente comportato una diminuzione dello spettacolo, e chi ha deciso queste regole se ne deve assumere le responsabilità. Ma se sei con l’acqua alla gola – e dico acqua per non dire altro – per salvarti non stai a guardare lo stile…


Immaginiamo, appunto, quella tensione, quell’ansia…
E’ stato così, mesi di tensione. Mesi in cui c’era voglia di fare, ma eravamo in grande difficoltà. Poi va detto anche che per fare punti servono corridori buoni e in condizione. Anche per questo, a un certo punto, abbiamo puntato molto sulle gare minori. Al tempo stesso però, da squadra WorldTour quale eravamo, dovevamo rispettare il calendario e gli impegni in Coppa di Francia. Ma in certe corse va detto che non c’eravamo. Al Tour de France, e sapete quanto sia importante per una squadra francese, proprio non siamo esistiti. E’ stato il peggiore dei nostri tre Grandi Giri.
Tu, Roberto, prima hai parlato di analisi fatte: cosa ne è emerso? Cosa non ha funzionato nel concreto?
Per quanto riguarda l’analisi, questa è stata fatta con il team manager, il gruppo performance, i medici, i direttori sportivi e l’alta dirigenza. E’ stata un’analisi a 360 gradi. Tutti noi – e quando dico tutti, intendo dai corridori ai massaggiatori, dai meccanici ai direttori sportivi – potevamo e dovevamo fare di più. Tuttavia, di fronte a una stagione non in linea con le aspettative, ci tengo a dire che Cofidis non si è tirata indietro, anzi… Ci ha rinnovato la fiducia fino al 2028 per una ripartenza decisa. Una fiducia totale.
E non è poco…
Stavo dicendo proprio quello. Non è poco in un periodo in cui vedi squadre che chiudono, altre che si fondono. Perché poi uno pensa ai corridori, ma c’è tanta gente che resta a casa. Si parla di professionismo, di aziende. E per chi non è corridore, che guadagna meno, la cosa è ancora più pesante. Cofidis invece ci ha detto: «Okay, non è andata bene, così non va, ma rimbocchiamoci le maniche e tiriamoci fuori da questa situazione tutti insieme».


Hai parlato con Jeune?
Certamente. Raphael, nel finale di stagione, è venuto a seguire le corse in Italia. Ha parlato con i corridori, con lo staff, si è presentato. Lui era il responsabile di Look per i rapporti con la squadra. Adesso è il general manager. C’è stato sin da subito un rispetto totale dei ruoli. Il confronto, come dicevo prima, c’è stato con i vari distretti: direttori sportivi, gruppo performance, medici…
Ecco, gruppo performance: immaginiamo che molte cose cambieranno sotto questo aspetto. Di solito alla fine sono loro ritenuti i maggiori responsabili, è così?
Non li ritengo i maggiori responsabili, ma tra i responsabili sì. Come ho detto prima, la responsabilità è di tutti. Quali problematiche possono esserci? Penso, per esempio, al referente dei coach, Mattia Michelusi, che ha dovuto cambiare lingua. E già passare dall’italiano o dall’inglese al francese, magari all’inizio può essere un limite: certe cose possono non arrivare allo stesso modo. Si dice sempre che se il corridore non va, la responsabilità è del preparatore: non è così. Potrei dire che anche il direttore sportivo ci può mettere del suo.
Cioè?
Anche noi potevamo fare scelte diverse di calendario, più oculate, in base alla nostra rosa e al vero valore degli atleti. E qui do una frecciatina: abbiamo ritenuto leader gente che non sa neanche cosa significhi questa parola, sia dal punto di vista atletico che gestionale in corsa. Quanti punti avevamo previsto con queste persone che poi non sono arrivati? Tanti… Capite perché torno a dire che la responsabilità è di tutti?


Insomma, si va verso una nuova stagione con fiducia rinnovata ed errori da non ripetere. Però ci sono anche buone notizie: avete preso un italiano, Edoardo Zamperini. Cosa ci dici di lui? E’ giovane, ma oggi non è più ritenuto giovanissimo…
No, no, non scherziamo: Zamperini è un giovane. Questo è un aspetto del tutto soggettivo. C’è chi è maturo a 20 anni e chi forse non lo diventa mai, anche a 25. Devo ammettere che conosco molto poco Edoardo e non vedo l’ora di conoscerlo meglio.
Come è andata la trattativa?
E’ stato proposto a Jeune dal direttore sportivo dell’Arkea, Sebastien Hinault. A noi mancava una “bandierina italiana” da inserire in rosa e abbiamo colto l’occasione. Per quanto riguarda i numeri, i valori bisognerebbe chiedere a Michelusi, che sicuramente ora lo conosce più di me. Vorrei però sottolineare una cosa.
Prego…
Vorrei ringraziare la General Store-Essegibi, che nonostante lo avesse preso quando era rimasto senza squadra, è stata disponibile a cederlo quando è arrivata questa occasione. Rosola e il presidente Calosso sono stati dei veri signori: lo hanno lasciato andare quando hanno capito che poteva ambire a un livello superiore. Ci hanno detto: «Farebbe piacere anche a noi vederlo al Tour il prossimo anno».