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Redazione Milano

La sentenza non aveva tenuto conto della perizia psichiatrica, che aveva accertato per lui un vizio parziale di mente. Una scelta analoga a quella fatta da Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin

Ha deciso di rinunciare al ricorso in appello, per scontare la pena di 20 anni di reclusione inflitta in primo grado dal Tribunale per i minorenni di Milano, Riccardo Chiarioni che, nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 2024, quando aveva 17 anni, in una villetta a Paderno Dugnano, nel Milanese, uccise con 108 coltellate padre, madre e fratello di 12 anni. Il giovane, che ora ha 19 anni, il 27 giugno scorso era stato condannato alla pena massima prevista, con rito abbreviato, per il triplice omicidio e la sentenza non aveva tenuto conto della perizia che aveva accertato per lui un vizio parziale di mente. Il termine per l’impugnazione in appello è scaduto il 4 novembre. Una scelta analoga è stata fatta qualche settimana fa da Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin.

A fine settembre, in 51 pagine di motivazioni, la giudice Paola Ghezzi del Tribunale per i minorenni aveva spiegato perché aveva deciso di condannare alla pena massima il ragazzo. Era «guidato», si leggeva nel verdetto, da «un pensiero stravagante» e «bizzarro», ossia il «progetto» di raggiungere «l’immortalità attraverso l’eliminazione» della sua famiglia, come lui stesso ha raccontato. E quando ha compiuto in modo «spietato» quella strage, rimasta senza un vero movente, hanno influito sia le «alterazioni» della sua personalità, sia una «grossa dose di rabbia ed odio narcisistici, accumulati ad ogni frustrazione». Non aveva, però, alcun vizio di mente ed anzi «ha lucidamente programmato, attuato, variato secondo il bisogno le proprie azioni, prima, durante e dopo». 



















































«Ovviamente non condivido questa motivazione. Il giudice non ha preso atto della concreta incidenza e del nesso di causalità che c’è tra la patologia di Riccardo ed il reato commesso», aveva spiegato l’avvocato Amedeo Rizza. Una perizia, firmata dallo psichiatra Franco Martelli, aveva accertato, infatti, una seminfermità mentale del ragazzo. E riguardo alla pena, aveva aggiunto il difensore, «pur riconoscendo la necessità di concedere le attenuanti generiche con criterio di prevalenza per mitigarla», alla fine il Tribunale «ha dato il massimo». 

Secondo la giudice, il 17enne, per il quale ha retto anche l’aggravante della premeditazione, era capace di distinguere «la realtà dall’immaginazione» e aveva programmato di sterminare la famiglia almeno un giorno prima. Poi, ha agito quella notte, dopo la festa di compleanno del padre, quando tutti dormivano. Un tale «accanimento», ha scritto la giudice, «non può non avere» avuto «come `benzina´» sentimenti di «odio». L’immagine che usciva fuori era quella del «bravo ragazzo, il ragazzo che non dà problemi in alcun ambito di vita», mentre lui covava, invece, «un importante malessere». Lo scorso luglio, il ragazzo nel carcere minorile ha ottenuto il diploma di maturità scientifica e si è iscritto all’università.


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6 novembre 2025