Vi riproponiamo un articolo uscito su Casa Vogue nel dicembre del 2004: lo chalet in Engadina di Not Vital

È una storia carica di neve, di freddo che punge le guance e di case che sembrano chiuse in se stesse, ma che in realtà custodiscono mondi interi. Siamo in Engadina, dove Casa Vogue arrivò nel dicembre 2004, con le fotografie di Filippo Simonetti, per entrare in una casa che era una scultura abitabile: la dimora di Not Vital a Tschlin, estremo oriente della valle. Come leggerete nelle prossime righe, allora raccontavamo l’artista nomade, legatissimo alla sua terra e alle montagne, capace di trasformare le tipiche dimore locali in organismi sensibili, dove il confine tra architettura, opera d’arte e vita quotidiana si fa volutamente poroso. Chi ci legge da tempo forse ricorderà anche l’isola-dimora-caverna-scultura da lui immaginata su un lago cileno: stesso impulso, stessa ostinazione nel reinventare l’idea di abitare. Rileggere oggi quel servizio significa vedere meglio anche la figura che, in controluce, ne è il co-protagonista silenzioso: il fratello di Not, Duri Vital, nato a Sent. È lui che, negli stessi anni, ha iniziato a spostare lo sguardo su ciò che sembrava perduto: nel 1997 ha rimesso mano al Parkin, il parco ripidissimo all’ingresso del paese, abbandonato per decenni, oggi parte della Fondazione Not Vital e costellato di interventi che uniscono ingegnosità rurale e immaginazione scultorea, come il ponte degli asini, la torre “per ir pella bos-cha”, la vecchia piscina ristrutturata. Da intenditore e amante della cultura romancia, Duri ha trovato la sua vera vocazione nelle case engadinesi: la secolare casa colonica di Tschlin recuperata per Not, trasformata in un’unica scultura vivente, è stato il primo tassello di una lunga serie di ristrutturazioni in tutta la valle. Mentre Not Vital, artista di fama internazionale, spingeva le case verso il territorio dell’opera, Duri Vital rimaneva artigiano nell’anima: non l’architetto che impone un segno, ma chi conserva la struttura esistente, riscopre metodi costruttivi dimenticati, accetta le irregolarità nate per aggirare una roccia o seguire il pendio, integra con misura gli elementi contemporanei. Le case contadine attorno alla fontana di Tschlin, con i loro muri massicci, le finestre minuscole e qualche bovindo che affaccia sulle montagne della Bassa Engadina arrossate dal sole della sera, diventano così interlocutrici da ascoltare, non gusci da mettere a tacere con una modernizzazione frettolosa. Da quella casa fatiscente salvata per il fratello, il talento di Duri è arrivato ben oltre la valle, fino all’Inghilterra e a Pechino: ma il baricentro resta sempre lì, in quella relazione intima fra paesaggio, muri antichi e nuove abitudini dell’abitare. Oggi questa storia, di Not e Duri, serve per interrogarci, di nuovo, su come viviamo i nostri spazi. Le loro case engadinesi non sono semplici contenitori geometrici, ma organismi che cambiano, specchi delle nostre vite fisiche ed emotive. È un invito a guardare con più attenzione le stanze in cui abitiamo e a chiederci quanta parte della nostra storia, e del paesaggio che ci circonda, siamo disposti a lasciare entrare. (Elisabetta Caprotti)