Il punto sui temi di attualità, ogni lunedì
Iscriviti e ricevi le notizie via email
La rapina del secolo, sicuramente la più assurda degli ultimi decenni. Ciò che è avvenuto lo scorso 19 ottobre a Parigi è una sceneggiatura che pochi registi avrebbero potuto scrivere, anche impegnandosi. Il Louvre, il museo più famoso al mondo, messo in ginocchio da una banda di dilettanti, con un piano poco elaborato e una fuga impacciata, e da un sistema di sicurezza che, visto oggi, rasenta il grottesco. Ma partiamo dall’inizio.
APPROFONDIMENTI
Il colpo del secolo
È mattina presto quando un gruppo di uomini in gilet arancioni, camminando con sicurezza da operai comunali, parcheggia un camion con piattaforma elevatrice accanto alla facciata del Louvre. Nessuno si insospettisce, sembrano addetti ai lavori. In realtà stanno per mettere a segno, o meglio tentare di mettere a segno, quello che i media francesi hanno definito il colpo del secolo. Solo che, come spesso accade nelle storie troppo perfette per essere vere, tutto degenera in farsa.
Otto minuti
Otto minuti. Tanto è durato il furto nella Galerie d’Apollon, la sala che ospita i preziosi della corona francese. In quel lasso di tempo, i malviventi hanno tagliato un vetro, rotto una vetrina e portato via otto gioielli di valore inestimabile, tra cui la celebre corona dell’imperatrice Eugénie. Fin qui, il colpo sembrerebbe perfetto. Ma la perfezione dura poco. Durante la fuga, infatti, i ladri perdono la corona. Letteralmente. L’hanno fatta cadere per strada, a pochi metri dal museo, dove la polizia la ritrova danneggiata.
Ladri impacciati, insomma. Altro che piano geniale.

La password
Il Louvre, uno dei musei più sorvegliati del pianeta, si è rivelato più vulnerabile di una gioielleria di provincia.
Le indagini hanno mostrato falle imbarazzanti: telecamere analogiche, zone cieche, sistemi d’allarme lenti e protocolli di sicurezza risalenti agli anni 2000. Secondo alcune fonti vicine alle indagini, una delle telecamere cruciali era rivolta verso un muro. E la password di accesso al sistema di sorveglianza era talmente semplice quanto assurda: Louvre. In sintesi, i ladri non hanno hackerato nulla. Si sono limitati a sfruttare un sistema talmente antiquato da sembrare un museo nel museo.
Il piano (poco) geniale
Forse il dettaglio più surreale di tutti è appunto il piano, altro che Ocean’s Eleven (il celebre film con George Clooney e Brad Pitt). I rapinatori sono entrati con un camion dotato di piattaforma elevatrice, parcheggiato sul lato Senna del museo, in pieno giorno, davanti a turisti e passanti. Chi li ha visti ha pensato a un intervento di manutenzione. L’idea geniale? Forzare una finestra al primo piano e calarsi nella sala delle esposizioni, indisturbati. Il museo più famoso del mondo è stato quindi violato da un gruppo di uomini in tuta arancione che sembravano montare l’aria condizionata. Solo rapidità, travestimenti e una buona dose di fortuna. Il colpo, valutato intorno agli 88 milioni di euro, è stato realizzato con attrezzi da ferramenta e un tempismo da sketch comico. Quando la notizia si è diffusa, il ministro della Cultura francese ha parlato di «attacco al patrimonio nazionale». I social, invece, hanno reagito diversamente, tra meme della corona caduta e commenti del tipo «nemmeno Arsenio Lupin avrebbe avuto tanto coraggio (o tanta goffaggine)», la rete ha trasformato il furto in una tragicommedia virale.

Il colabordo tecnologico
Il Louvre, dopo il furto, è rimasto chiuso per tre giorni. Le autorità hanno scoperto che le misure antintrusione erano obsolete, i sensori non coprivano alcune aree e il personale non aveva ricevuto aggiornamenti sui protocolli di emergenza da anni. In altre parole, la “casa della Gioconda” era un colabrodo tecnologico.
Una falla che rende ancora più grottesco il fatto che i ladri, con tutti i loro errori, siano comunque riusciti a portare via gran parte del bottino. Ad oggi, alcuni sospetti sono stati arrestati, ma molti gioielli non sono stati ancora ritrovati.
La coppia con figli
La procuratrice Laure Beccuau ha dichiarato a France Info che i sospettati, residenti nelle periferie settentrionali di Parigi, sarebbero criminali di basso profilo, non appartenenti a organizzazioni mafiose. «I loro profili non corrispondono a quelli generalmente associati ai vertici della criminalità organizzata», ha precisato Beccuau. La procuratrice ha spiegato che l’uomo di 37 anni e la donna di 38, incriminati sabato scorso, sono una coppia con figli. Entrambi negano ogni coinvolgimento. L’uomo, che ha rifiutato di rilasciare dichiarazioni, è accusato di furto aggravato in banda organizzata e associazione a delinquere, mentre la donna è indagata per complicità negli stessi reati. In lacrime davanti al tribunale di Parigi sabato, la donna ha detto di temere per sé e per i propri figli. La coppia è stata arrestata dopo che tracce del loro Dna sono state trovate nel cestello elevatore utilizzato durante il colpo. Beccuau ha parlato di «prove genetiche significative» che collegano l’uomo al furto; tracce della donna, ha precisato, potrebbero essere state trasferite per contatto indiretto con una persona o un oggetto. «Tutto questo dovrà essere ulteriormente verificato», ha aggiunto la procuratrice.

Il colmo del ladro influencer
L’ultimo colmo è il racconto di uno dei sospettati del furto. I media francesi riportano Abdoulaye N. conosciuto come Doudou, ex star dei social, avrebbe dichiarato agli inquirenti francesi di non sapere che stava compiendo un furto al più famoso museo parigino convinto che l’edificio si trovasse invece solo sotto la Piramide e che la domenica fosse chiuso. L’uomo – rivela Le Parisien – ha alle spalle quindici precedenti penali per reati minori e avrebbe agito su ordine di «un committente straniero», come ha anche confermato il suo complice, Ayed G. Gli inquirenti hanno definito quanto dichiarato dai due «sconcertante».
© RIPRODUZIONE RISERVATA