Il tema dei biglietti nel ciclismo è tornato d’attualità. Di recente, le dichiarazioni di Jerome Pineau, ex general manager di Vital Concept e B&B Hotels, hanno riaperto il dibattito: sarebbe giusto far pagare un ticket per vedere i momenti chiave di una gara di ciclismo, come ad esempio la doppia scalata sull’Alpe d’Huez nel prossimo Tour de France 2026? Qualcuno, a dire la verità, sta già provando a proporre questo tipo di modello di business nel ciclismo, che permetterebbe agli organizzatori di non dipendere esclusivamente dai fondi dei Comuni e delle Regioni. Si tratta della PP Sport Events, la società fondata da Filippo Pozzato che organizza gli eventi di Ride The Dreamland, le corse in Veneto che includono Giro del Veneto, Veneto Women, Serenissima Gravel, VenetoGo e Veneto Classic. Quest’ultima competizione comprende l’impegnativo strappo della Tisa, che da qualche edizione è appunto a pagamento per il pubblico che vuole assistere di persona lungo la strada.
Un modello alternativo, appunto, in cui il presidente di PP Sport Events Filippo Pozzato crede con decisione. Intervistato in esclusiva da SpazioCiclismo proprio per parlare del tema, l’ex corridore (che in carriera ha vinto 32 corse tra cui la Milano-Sanremo 2006), spiega: “Penso sia l’unica soluzione che abbiamo per sopravvivere in futuro. Siamo l’unico sport che non ha un modello con il ticketing. Non puoi contare sempre sull’ente pubblico: ormai i Comuni e le Regioni sono sempre più in difficoltà nel finanziare eventi. Il ciclismo non può più aspettare di sopravvivere così. Più si diventa sostenibili indipendentemente nel nostro mondo, più si va avanti.
“Quando ho applicato questo modello per la prima volta ho preso insulti dalla gente – ricorda il veneto – Mi dicevano che volevo fare il classista. Per andare a vedere una partita di calcio di Promozione paghi anche 15€, perché non puoi pagare qualcosa per vedere i migliori ciclisti del mondo? Noi abbiamo iniziato quattro anni fa con un biglietto da 10€ con una birra inclusa. Dall’anno scorso facciamo pagare 10€ senza birra, ma con tanti servizi inclusi. Nell’area metto dei maxischermo, c’è un dj, un intrattenitore che coinvolga il pubblico con la gara. Quest’anno abbiamo preso una moto che permettesse di avere una diretta dall’inizio, non solo per l’ultima ora e mezza. Poi i corridori sono passati da lì sei volte. Bisogna cercare di fare qualcosa che abbia un sistema economico autosufficiente, altrimenti è tutto inutile”.
Poco alla volta, il sistema di business pensato dal classe ’81 sta dando i suoi frutti: “Quest’anno, per la prima volta da quando investiamo, abbiamo portato 720 paganti. Il sogno è arrivare a mille persone e cominciare ad aumentare il prezzo del biglietto e la qualità del servizio, con gente consolidata che torna all’evento perché sa che vale la pena pagarlo. I primi anni, tutti si arrabbiavano perché pagavano. Adesso tutti i feedback sono positivi. C’è tanto lavoro dietro. Per esempio, nei punti food & beverage abbiamo portato cibo di qualità da mangiare. Noi abbiamo uno sponsor che fa gli hamburger gourmet, che dà qualcosa di buono. Devi lasciare un ricordo positivo in quello che dai, cercare di dare un servizio diverso. Il problema è che in Italia si è sempre fatto in un modo solo e nessuno pensa a fare qualcosa di diverso.
Al di là della classica veneta, Filippo Pozzato ha tentato di portare questo modello di business anche al Giro d’Italia: “Avevo provato a parlarne con qualcuno del Giro per la tappa di Bassano del Grappa l’anno scorso, ma dicono che la gente non è pronta. Ma se non inizi non è mai pronta. La mia idea era far parcheggiare il pubblico ai piedi della salita e mettere 5 maxi schermi in cima, fornendo delle navette per il pubblico. Nella zona del Monte Grappa, oltre a un maxi schermo, si potevano posizionare dei punti di food & beverage gestiti dall’organizzazione. Se vuoi sopravvivere, devi provare a fare ricavi da un business”.
“Devi educare la gente a capire che non stanno buttando soldi – prosegue il Presidente di PP Sport Events – ma stai dando loro un servizio, oltre allo spettacolo della corsa. Noi del ciclismo dobbiamo diventare sostenibili da soli, cercare di investire all’interno dando un profitto migliore allo spettatore. È anche un modo per portare gente giovane nel ciclismo. Solo durante il Giro d’Italia c’è gente per strada, ma è l’evento sportivo dell’anno, è normale che ci sia. Gli altri organizzatori hanno bisogno di fare qualcosa di diverso. Bisogna educare la gente, portare un pubblico più giovane, anche non interessato al ciclismo. Per questo ci dev’essere una festa. Abbiamo bisogno di avvicinare l’utente alla gara. Il ciclismo va di moda ma nessuno guarda i professionisti, non si va più sulla strada a tifare. Abbiamo bisogno di creare dell’appeal nei confronti di un utente più giovane. Se educhiamo il pubblico, un domani avremo sia il ticketing sia il food & beverage durante le corse”.
Il ragionamento continua con un’amara considerazione: “Nel ciclismo tutti vogliono fare le corse come si facevano un tempo, non si vuole cambiare. Io invece vorrei che le cose cambiassero, perché così non è sostenibile per nessuno, forse solo per i grandi organizzatori. Dev’essere uno show, uno spettacolo. Non devi snaturare la prestazione sportiva, che comunque viene da sé”.
Nella sua intervista, Jerome Pineau lamentava anche che gli introiti delle hospitality rimangono sempre agli organizzatori, senza venire divisi anche tra squadre e corridori, nonostante siano questi ultimi a dare spettacolo. Un tema che, a ben vedere, viaggia di pari passo con la questione dei diritti televisivi. Ma il vincitore della Milano-Sanremo 2006 ha le idee chiare: “Questo è un problema solo di due organizzatori, ASO e RCS, che prendono un sacco di diritti tv. Io personalmente se avessi in mano queste corse, e parlo di Tour e Giro darei i soldi dei diritti tv alle squadre. I primi anni ci perdi, ma poi nel lungo periodo ci guadagni, anche perché non sei più costretto a pagare i corridori per farli venire a correre. L’idea ce l’ho da tanti anni. Già nel 2012 o 2013, quando correvo, avevo detto che serviva prendere i diritti tv. Mi dissero ‘Ecco, è arrivato il calciatore’. Quello attuale è un modello di business che non sta in piedi, perché una squadra non ha niente di ritorno. Uno investe milioni e poi cosa gli ritorna indietro per aver vinto una corsa? Il modello a cui penso è quello americano. È chiaro che il ciclismo non è lo sport con gli stadi, ma dobbiamo avere un nostro business”.
Per quanto riguarda i passi per la costruzione di questo business, Filippo Pozzato si sta già muovendo: “Prima voglio fare il mio prodotto, lo devo fare vedere. Faccio un prodotto figo, che attiri visibilità e piaccia anche ai corridori. Non voglio dover pagare per fare venire un corridore: così stai sminuendo gli altri corridori e il prodotto. Prima devo avere il prodotto buono, poi dopo posso venderlo alla gente. Ho bisogno dei corridori per avere un bel prodotto. Prima di mettere la Tisa sul percorso della Veneto Classic, ho parlato con le squadre e i corridori e ho chiesto se andasse bene. Ora parlerò con loro per avere un feedback”.
In fondo, da ormai diversi anni le classiche belghe vivono anche del rapporto con il pubblico: “Ho preso il modello dalle Fiandre. Lì pagano anche 500€ per una hospitality, qui è difficile far passare l’idea di pagare 10 euro per un servizio. Se vuoi fare un prodotto, i servizi costano. Se non andiamo su questo modello qua, tutte le corse italiane piccole muoiono. È impossibile pensare di stare in piedi per le corse piccole. La problematica in Italia è che, a parte le corse di RCS Sport, tutti gli altri sono destinati a morire. Sono tutti appassionati, nessuno lo fa a livello professionale”.
La situazione delle corse italiane, riflette Pozzato, si regge anche sulla possibilità di contare su dei volontari: “La difficoltà che abbiamo noi è che non lavorando con i volontari ho più costi. Io pago stipendi, ho una società, un’azienda. Per pagare stipendi servono soldi. E avere un ufficio e dei mezzi nostri costa. Lavoriamo con le aziende per fare le bike experience e fare delle ride con gli amatori, ma per fare questo devi investire. Non puoi aspettarti di avere tutto subito, senza prima metterci qualcosa”.
In conclusione, Filippo Pozzato guarda avanti con decisione, convinto della sua idea: “Io sono certo che è giusto. Ma sono da solo contro un milione, vado contromano. Quindi mi prendono per stupido che vado contromano. Ho provato a dirlo in Lega, ma non ho avuto risposte. Non c’è una visione di business. L’importante è che venga un prodotto di livello, che abbia un valore. Anche con la Lega si potrebbe lavorare in modo diverso”. Non resta che vedere, a questo punto, se qualcun altro vorrà provare a proporre il modello di business con il ticketing anche nel ciclismo.
