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Daniel Day-Lewis (68 anni) è Ray in Anemone, diretto dal figlio Ronan e scritto insieme. Il film è nei cinema

ASPETTAVAMO QUESTO MOMENTO DAL 2017. Da Il filo nascosto, ultimo film del tre volte Premio Oscar Daniel Day-Lewis. L’aveva detto lui, che non sarebbe più tornato sul set. Per fortuna ha “smentito” se stesso… Per amore? nel nome del figlio, verrebbe da dire…

Anemone, il film del ritorno di Daniel Day-Lewis: premi, durata e cast

In Anemone (nei cinema), Daniel Day-Lewis è il protagonista. Dietro la macchina da presa, e alla sceneggiatura, c’è Ronan Day-Lewis. Suo figlio, pittore (e si vede…) all’esordio nel cinema. Il film ha vinto il Premio Migliore Opera Prima alla Festa del Cinema di Roma (motivazione: “audace, onirico, immersivo e dirompente”). È un dramma familiare che i due, figlio e padre, hanno scritto insieme. Sullo schermo, Daniel Day-Lewis, Sean Bean (Il Trono di Spade), la sempre splendida Samantha Morton (Minority Report), Samuel Bottomley e Safia Oakley-Green. Durata: due ore.

Anemone, la favola muta di Ronan e Daniel Day-Lewis: in nome del figlio, del passato e della speranza- immagine 3

Daniel Day-Lewis e il figlio Ronan (27 anni) sul set

La storia di Anemone: trama del film nei cinema

Deciso ad aiutare il figlio Brian (Samuel Bottomley), e d’accordo con la moglie Nessa (Samantha Morton), Jem Stoker (Sean Bean) decide di mettersi in viaggio per raggiungere il fratello Ray (Daniel Day-Lewis). L’uomo da tempo vive in una capanna tra i boschi dell’Inghilterra settentrionale: isolato da tutto e da tutti, soprattutto dalla sua vita precedente. L’incontro dei due, estranei dopo 20 anni di silenzio e un passato di violenza, rompe il doloroso auto-esilio di Ray. E riaccende antichi rancori, riportando in vita fantasmi e segreti mai davvero dimenticati. Soprattutto, li costringe a un confronto, affrontando ognuno le proprie responsabilità.

Chi fosse in attesa dell’esordio di Ronan Day-Lewis essenzialmente per l’opportunità di rivedere in scena il suo celebre genitore, si prepari a una bella sorpresa. Al di là della prevedibile, ennesima, magistrale interpretazione di tutto il cast (non solo di DD-L), ogni singolo dettaglio di questa opera prima è affascinante e ben costruito. Certo, una sceneggiatura scritta a quattro mani con cotanto padre avrà sicuramente aiutato, ma il ventisettenne erede mostra capacità, mano, visione. Sin dai titoli di testa, disegnati ed espressivi a fungere da premessa e backstory per quel che vedremo. Con il racconto sintetico dell’orrore dei Troubles del conflitto nordirlandese, ferita aperta per il personaggio di Ray e per Daniel Day-Lewis che lo ha creato insieme al figlio.

Ed è scelta non banale e coraggiosa prolungare l’attesa dello spettatore. Il film procede senza dialoghi a lungo, ben oltre l’emblematico incontro tra i due fratelli. Una scena nella quale l’elemento musicale è fondamentale, con quel dettaglio della mano, visualizzazione del  processo mentale ed emotivo che prelude alla decisione di aprire quella porta. Alla possibilità, cioè, di un dialogo rifiutato a lungo, anche con sé stesso. E a una riflessione su paternità e dovere, guerra, orgoglio, dignità, rispetto, rancore, colpa e sua elaborazione. Fino alla libertà come condanna.

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Daniel Day-Lewis è Ray e Sean Bean suo fratello Jem.

Dal silenzio al corpo a corpo

E dopo il silenzio viene il corpo a corpo. La distanza tra i due gradualmente scompare. Le accuse e i ricordi dei soprusi subiti e delle vendette godute (luride entrambe, quasi per ironico contrappasso) come le dissertazioni sulle mutande di Dio, lasciano spazio all’espressione di istinti e sentimenti. A una fratellanza che rinasce nella furia della danza e nella violenza della lotta, come risposta al fallimento dei padri e al peso di una eredità indesiderata.

Anemone non è un racconto definitivo. È un percorso, nella speranza di uscire dal bosco, migliori di prima. Non abbassa lo sguardo sul passato, per farsi trovare pronto dal futuro, e non dimentica mai il presente. In una sorta di fiaba brutale non priva di eccessi onirici e immaginifici, con qualche concessione di troppo all’esercizio di stile. Ma nella quale perdersi, per trovare una propria via. Godendone ogni istante.

6 domande a Daniel Day-Lewis

Un film molto bello, impreziosito dal suo attesissimo ritorno in scena: aspettava il film giusto?

È stata un’esperienza molto, molto felice, gioiosa. Sono sicuramente aperto all’idea di continuare a fare questo lavoro. Non ho smesso di farlo perché avevo smesso di amarlo. È l’ambiente che lo circonda che non ho mai imparato ad accettare con serenità. Mi faceva sentire a disagio, nell’ambiente sociale…

Un elemento che rimanda all’isolamento del suo personaggio? Ronan ha parlato di un tentativo di evasione con il quale Ray finisce per fare i conti…

Il lavoro che facciamo è di per sé una sorta di evasione, anche se la fuga in un altro mondo, attraverso l’immaginazione, può chiederci tanto. Facciamo questo lavoro per creare altri mondi, anche per allontanarci dalla quotidianità. Ma penso che questo valga per ogni tipo di lavoro creativo.

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Tra il proprio figlio e il proprio padre

In Anemone si parla di fratellanza, di padri “sbagliati” e di paternità: c’è il rapporto con suo figlio, ma anche con suo padre?

La verità è che non ho mai pensato consapevolmente al mio rapporto con Ronan mentre lavoravamo insieme. Se ti trovi a tuo agio con una persona, non senti necessariamente il bisogno di pensarci. Naturalmente, non è una coincidenza aver raccontato una storia in cui il rapporto tra padre e figlio è così centrale, quasi quanto quello tra fratelli. Invece mi è capitato di ripensare a mio padre, questo sì. Era distante, ma non per colpa sua: era semplicemente fatto così, era una epoca diversa. Le mie conversazioni con lui sono state, in un certo senso, con un padre assente. E penso che le persone che perdono un genitore in giovane età tendano ad avere una sorta di strana comunicazione unilaterale con lui per il resto della vita. Se è nel film, è stato il mio inconscio a mettercelo. Con Ronan, abbiamo trovato questi personaggi improvvisando e loro hanno iniziato a prendere vita. A quel punto il tuo compito è semplicemente quello di seguirli dove ti portano.

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Si rivede, in Ronan? Com’era lei alla sua età?

Piuttosto sprovveduto.  Ronan è un essere umano molto più evoluto di quanto fossi io alla sua età. Lavoravo come attore, ed ero affamato di quel lavoro, ansioso, come lo sono i giovani. Già mal sopportavo l’aspetto pubblico del ruolo, convinto che forse un giorno mi ci sarei abituato. Cosa che non è mai successa. È uno strano paradosso, molti artisti sono piuttosto timidi e il lavoro è un modo per esprimersi. Poi però, quando il lavoro è finito, l’attenzione c’è sempre… Io ho vissuto una vita molto tranquilla, ed è stato una sorta di antidoto. Ma non sono un recluso. Semplicemente non vivo sotto i riflettori: sto tra la gente, solo in modo diverso.

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Samantha Morton

Tutte le sfumature del silenzio

Non siamo più abituati al silenzio, che nel film ha un ruolo molto importante…

Ci sono diversi livello di silenzio. E c’è un silenzio di complicità, tra due persone che sono in armonia tra loro, che è una cosa meravigliosa. Il personaggio di Jem me lo ha ispirato un mio vecchio amico con il quale abbiamo condiviso molto. Abbiamo trascorso molto tempo insieme in Irlanda, camminando sulle colline, a volte senza dirci una parola per giorni interi. Nel caso di Ray e Jem, ovviamente, il silenzio è diverso, più pesante.

Si parla anche di guerra, dei Troubles, e di di crimini di guerra…

Sono cresciuto in un’epoca molto diversa da quella di Ronan, nel dopoguerra, ascoltando le storie della Seconda Guerra Mondiale dai miei genitori e dal mio padrino, giocando nei luoghi bombardati, nel sud-est di Londra, vicino ai Docklands. Dove c’era un tunnel sotto il Tamigi che portava a un posto chiamato Isle of Dogs che era il paradiso per noi. Con una maschera antigas o un elmetto o un bossolo o qualcosa del genere giocavamo felici tutto il giorno. Poi sono cresciuto, e avevo amici molto cari, nazionalisti irlandesi, non necessariamente coinvolti nella lotta armata, ma che credevano nella lotta e nell’Irlanda unita, come me. E avevo amici nelle forze armate britanniche. Fu un conflitto crudele e sporco, da entrambe le barricate.