L’incredibile storia delle Antilopi Nere: un Paese economicamente al collasso che ha saputo riprendersi aggrappandosi anche al rugby, e una serie di ragazzi che quasi senza volerlo si sono trovati a fare la storia, anche per chi purtroppo non poteva essere in campo ma era in un letto di ospedale
Francesco Palma
20 luglio – 18:45 – MILANO
Windhoek, 15 agosto 2015: la Namibia demolisce lo Zimbabwe 80-6. È la peggior sconfitta della storia del rugby zimbabwese. In quel momento, se qualcuno avesse detto che 10 anni dopo lo Zimbabwe avrebbe conquistato la qualificazione al Mondiale (nel 2027 saranno 26 anni dall’ultima volta) battendo proprio la Namibia sarebbe stato preso per pazzo. Invece è successo. Nella finale della Coppa d’Africa, che assegna un posto diretto alla Rugby World Cup in Australia i “Sables”, le “antilopi nere”, hanno infatti battuto la Namibia 30-28, conquistando la qualificazione. Per la Namibia c’è ancora una tenue speranza, ma dovrà passare addirittura da un doppio playoff: prima uno spareggio con gli Emirati Arabi, poi un girone da 4 con il Belgio, una sudamericana e la perdente dello spareggio Sudamerica-Pacifico, in cui solo la prima si qualifica al Mondiale. Nel frattempo, lo Zimbabwe ha due anni di tempo per preparare uno storico ritorno, dopo decenni difficilissimi, soprattutto dal punto di vista politico e sociale, in cui però il rugby in qualche modo è sempre stato protagonista.
mugabe, le fughe, la crisi—
Lo Zimbabwe aveva partecipato ai primi due Mondiali della storia, nel 1987 (addirittura da invitata) e nel 1991 dopo aver superato le qualificazioni. Poi è arrivata la Namibia, diventata indipendente dal Sudafrica nel 1990, e le cose sono cambiate, anche perché nel frattempo lo Zimbabwe ha attraversato una fase particolarmente difficile: dopo l’indipendenza dal regime bianco della Rhodesia, il Paese è stato governato per 37 anni da Robert Mugabe, che da eroe della liberazione si è trasformato in un autocrate spietato. Dal massacro di Gukurahundi (che negli anni ’80 causò migliaia di morti tra la popolazione ndebele) alla riforma agraria che porto al collasso dell’agricoltura, a un’inflazione da record e a un esodo – spesso forzato – di massa, a causa degli espropri che colpivano le aziende agricoli dei cittadini bianchi, e non solo: gruppi armati, spesso affiliati al partito al potere, si presentavano nelle fattorie, cacciando i proprietari con la forza, in alcuni casi con pestaggi, rapine o sequestri. In breve tempo il Paese perse gran parte della propria capacità produttiva. Fra le tante famiglie scappate dallo Zimbabwe molte erano di futuri rugbisti, come quella di Sebastian Negri – che sarebbe poi diventato un pilastro dell’Italrugby – e di Adrian Garvey, che avrebbe giocato 28 partite con il Sudafrica sfidando anche i Lions nell’epica serie del 1999. Tra le tante famiglie in fuga da Mugabe c’era anche quella di Ian Prior, uno dei protagonisti di questa storica qualificazione: nato in Australia nel 1990 si trasferisce a 3 anni in Zimbabwe, Paese della madre, dove cresce nella fattoria di famiglia, fino a quando le milizie di Mugabe non la radono al suolo, dando fuoco agli edifici e uccidendo gli animali. A quel punto la famiglia rientra in Australia, Prior esplode e diventa una bandiera dei Western Force, con cui giocherà oltre 100 partite nel Super Rugby (lega che unisce i club australiani, neozelandesi e – ai tempi – anche sudafricani), trofeo che vincerà con la maglia dei Reds invece. Gioca anche per l’Australia under 20, mai per la nazionale maggiore, poi a 34 anni arriva la chiamata che non avrebbe mai pensato: “Vuoi venire a giocare per lo Zimbabwe?”. Ian dice di sì, con quel piede che si ritrova mette dentro calci da dove vuole e trascina la Nazionale al Mondiale a suon di punti. In Zimbabwe si è sempre giocato a rugby, anche se soprattutto nella sua versione a 7 per esigenze economiche: meno problemi strutturali e più facilità nel reperire giocatori, in uno sport sì di contatto ma molto più incentrato sulla parte atletica, sport nazionale in questi Paesi. L’anno scorso lo Zimbabwe aveva battuto la Namibia per la prima volta dopo 23 anni, proprio nella semifinale della Coppa d’Africa 2024, e lo aveva fatto con un mix sorprendente di solidità e profondità, frutto di un lavoro strutturato che parte dal programma Tag Rugby Trust, che coinvolge oltre 10.000 bambini. Inoltre, il governo zimbabwese ha attivato un fondo da 2 milioni di sterline peri il sostegno ai giovani del Paese, qualsiasi lavoro vogliano fare. L’attenzione al rugby sta aumentando sempre di più, tanto che lo scorso anno il Presidente Mnangagwa, premiò tutti i giocatori con circa 6.500 dollari americani a testa: una cifra non da poco, per lo Zimbabwe. E chissà cosa accadrà ora che andranno al Mondiale.
borse di studio, ictus e canto: mille storie dallo zimbabwe—
Prior è sicuramente l’uomo più conosciuto e rappresentativo di un gruppo di semi-sconosciuti che ha saputo conquistare la ribalta mondiale, a partire dall’elettrico e pittoresco estremo Tapiwa Mafura, cresciuto con un sogno: non il rugby, ma cantare a “South African Idols”. Mafura è infatti appassionato di musica e parla 5 lingue: inglese, shona, ndebele, zulu e afrikaans). Ha vinto tre Currie Cup (il più importante campionato sudafricano) con i Cheetahs e i Pumas, e dopo le partite si rimette in piedi con un bel bagno ghiacciato. E poi c’è il numero 6, Tinotenda Mavesere, la cui carriera ha rischiato di finire prima ancora di cominciare: al liceo (la Churchill High School) sta per esordire nella squadra della scuola come capitano, ma si frattura la tibia durante la preparazione e perde l’intero anno sportivo. Si riprende e si prende di forza un posto nell’under 20 dello Zimbabwe, con cui fa sfracelli: lo nota il leggendario Chester Williams, campione del mondo col Sudafrica nel 1995 e direttore sportivo della Western Cape University, e gli offre una borsa di studio per giocare lì. Williams, però, muore d’infarto poco dopo aver conosciuto Mavesere, e il sogno del giovane zimbabwese rischia di saltare, anche perché all’Università ancora non lo conosceva nessuno. Lo aiuta Njabulo Ndlovu, altro studente della Western Cape, che convince l’Università a concedergli comunque la borsa di studio permettendogli di giocare. E poi c’è Shingi Katsvere, uno dei protagonisti del percorso dello Zimbabwe che però non era in campo nella finalissima con la Namibia, e non per scelta tecnica: si sta riprendendo da un ictus. La sua è una storia incredibile: nato nel quartiere povero di Mbare a Harare, è riuscito con tanti sacrifici a costruirsi una carriera nel rugby e a trasferirsi in Francia, all’Auxerre, una squadra semi-professionistica, e con i soldi guadagnati riusciva anche ad aiutare la sua famiglia rimasta in Zimbabwe. Poi la tempesta, improvvisa: Shingi sta preparando le valigie per tornare in Francia dopo una trasferta in Botswana con la Nazionale, quando improvvisamente metà del suo corpo si blocca. È un ictus: viene immediatamente ricoverato, ma è grave e i soldi per le cure sono pochi. La Federazione dello Zimbabwe copre le spese come può, e apre una raccolta fondi per sostenere Katsvere nel suo delicatissimo percorso di ripresa. Il suo sogno è tornare a giocare. E adesso ce n’è un altro: andare al Mondiale.
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